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Smart working, la rivoluzione portata dal virus. Ecco perché non torneremo più indietro

Mar 28, 2020

Tutti o quasi, milioni di italiani, a casa a scoprire il telelavoro o “smart-working” (lavoro agile è la traduzione corrente, ma, in realtà, si può tradurre anche lavoro intelligente). Ma poi, quando questo incubo epidemia sarà finito, che succederà? La risposta è che il telelavoro è qui per restare, in varie forme, modalità, misure, ma via via più radicate. Perché il telelavoro funziona: rende più produttivi, ma anche più sereni e soddisfatti.

E guardate il boom che sta registrando in queste settimane chi è in grado di fornire piattaforme per conference call, interazioni, lezioni a distanza: Slack, Microsoft, Trello, concorrenti italiani come Hosting Solutions, fino a offerte più complesse come quelle di Cisco, in grado di realizzare videoconferenze, anche con 200 partecipanti. Il telelavoro, anche solo da qui ad un anno, sarà qualcosa di molto diverso: assai più complesso, ramificato, flessibile di quanto non ci appaia oggi.

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Il punto di partenza è che lo smart-working non è affatto un modo per scomparire o lavorare meno. Lo dice un autorevole centro studi tedesco, l’Ifo, ma parlando non dei disciplinati lavoratori teutonici, bensì proprio di noi italiani. La ricerca (“Smart-Working: Work Flexibility Without Constraints”) , infatti, è stata condotta in Italia, in una azienda, probabilmente di distribuzione dell’elettricità, del Nord, con oltre 4 mila dipendenti, seguendo una buona fetta di lavoratori per quasi un anno.

Questo, ovviamente, vuol dire che la ricerca è stata realizzata nei mesi scorsi, prima dell’epidemia e delle quarantene. E l’esperimento prevedeva, in realtà, un solo giorno di smart-working alla settimana. I risultati, tuttavia, sono ugualmente indicativi di una serie di vantaggi – sia per l’azienda, che per il lavoratore – derivati dal telelavoro.

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Anzitutto, proprio per sgombrare il campo dall’obiezione più immediata, il telelavoratore è più produttivo, sia che proviate a misurare la produttività in termini quantitativi (quantità di pratiche sbrigate, ad esempio) sia che lo facciate secondo parametri specifici (il rispetto delle deadline, per dire). Mentre i lavoratori legati agli orari normali accrescono la loro produttività, mediamente, rispetto al mese precedente, del 10-30 per cento, i telelavoratori l’aumentano più rapidamente, fra il 25 e il 45 per cento. E questa crescita, secondo le due ricercatrici, accelera man mano che passano i mesi, come se, via via, i telelavoratori si impratichissero della nuova esperienza.

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Un altro segnale quantitativamente importante viene dalle assenze per malattia. I telelavoratori, nell’anno coperto dalla ricerca, hanno chiesto in media 5 giorni e mezzo di permesso in meno, rispetto ai loro colleghi in ufficio. Come mai? Perché, lavorando da casa, rispondono le due ricercatrici dell’Ifo, è più facile organizzarsi e trovare, senza sacrificare il lavoro, il tempo per una visita medica, il colloquio con il professore del figlio, il compleanno della suocera.

Più in generale, gli smart-workers sembrano in grado di organizzarsi meglio, si dichiarano più attivi, più concentrati. Decisivo, sotto questo profilo, il tempo e la fatica risparmiati evitando la ressa dei bus o gli imbottigliamenti del traffico per andare e tornare dall’ufficio. E contribuisce anche il fatto di avere più tempo e più flessibilità per sbrigare le mille faccende in casa: un’occhiata al computer e una alla pentola dei fagioli e alla lavatrice. A quanto pare, invece di distrarre, aiuta a concentrarsi.

Come è prevedibile, a dichiarare i maggiori vantaggi sono le lavoratrici, meno costrette a dividersi fra casa e ufficio, fra figli e principale. Ma – sorpresa – il telelavoro sembra modificare, secondo la ricerca, anche radicati atteggiamenti maschili. Fermo in casa, in condizione di autogestirsi l’orario, papà si dichiara più pronto a guardare i fagioli, caricare la lavatrice, andare a prendere la figlia a scuola.

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