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Brexit, in Gran Bretagna disoccupazione ai minimi da quarant’anni. Ma ci sono nubi all’orizzonte

Mar 18, 2017

LONDRA – Da oltre quarant’anni in Gran Bretagna le code per ricevere un sussidio di disoccupazione non erano così corte. Il mese scorso il numero di coloro che cercano lavoro e intanto chiedono l’aiuto dello Stato, qui chiamato Jobseeeker’s Allowance, è sceso a 737 mila, con un calo di 11 mila, il livello più basso dal 1975. Ed è scesa anche la disoccupazione in generale, cioè comprendendo chi non richiede sussidi, passando nel trimestre che si è concluso a gennaio a poco più di 1 milione e mezzo di persone, 31 mila in meno dei tre mesi precedenti, pari al 4,7 per cento del totale della popolazione lavorativa. A Downing Street, l’ultima volta che nel Regno Unito i senza lavoro erano stati così pochi, c’era Harold Wilson. Ben quarantadue anni or sono.

Merito di un’economia più robusta delle aspettative, che dunque continua a smentire le previsioni di un rallentamento della crescita come conseguenza della Brexit. Dal referendum sull’uscita dall’Unione Europea del giugno scorso, la ripresa britannica è continuata, con la Borsa a livelli record, i consumi in aumento e una costante smentita delle profezie di sventure. Ciononostante, all’orizzonte si intravedono motivi di preoccupazione e resta da vedere se anche questi saranno contraddetti dai fatti.

La crescita dei salari è declinata dal 2,6 al 2,3 per cento, in un momenti in cui l’inflazione sale, sospinta dal calo della sterlina sui mercati valutari. Quasi un milione di lavoratori, inoltre, hanno contratti part-time che non garantiscono un numero di ore sufficienti a uscire dal livello di sussistenza. Il decennio iniziato nel 2010, in effetti, in Gran Bretagna è stato finora il più debole per gli aumenti salariali dalle guerre napoleoniche in poi. Naturalmente, davanti a una simile statistica, non tutta la responsabilità può essere data alla Brexit. Ma gli analisti della City continuano a pronosticare un rallentamento del Pil e un peggioramento degli standard di vita nel prossimo futuro, specie se il Regno Unito uscirà dalla Ue e dal mercato comune senza avere ottenuto nuovi accordi commerciali con gli altri 27 membri dell’Unione.

Non a caso, aumenta il pessimismo. Un sondaggio dell’istituto Ipso Mori indica che per il 50 per cento della popolazione l’economia è destinata a peggiorare nei prossimi dodici mesi, mentre il 24 per cento crede che resterà com’è e solo il 20 per cento si attende un miglioramento. E anche il dato positivo della più bassa disoccupazione da 40 anni pone un interrogativo di fondo: se così tanta gente ha un lavoro, che bisogno c’è di uscire dalla Ue per fermare l’immigrazione? Se gli stranieri non portano via il posto ai britannici, perché mettere a rischio l’economia nazionale (per non parlare dell’unità nazionale, viste le richieste di referendum per l’indipendenza in Scozia e di riunificazione con l’Irlanda in Irlanda del Nord) con la Brexit? I conti di questa storia si faranno alla fine.

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