• 20 Novembre 2024 0:26

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“Regeni era sfinito dopo le torture”, la testimonianza di un ex detenuto

Nov 19, 2024

AGI – “Giulio era ammanettato con le mani dietro alla schiena, con gli occhi bendati. Era a circa 5 metri da me. Indossava una maglietta bianca, pantalone larghi e blu scuro”. Lo racconta un ex detenuto palestinese in un video – acquisito dalla corte d’assise di Roma e proiettato oggi in aula nel corso del processo per il sequestro e la morte di Giulio Regeni avvenuta nel 2016 in Egitto -, estrapolato da un documentario di Al Jazeera. “In seguito l’ho rivisto che usciva dall’interrogatorio, sfinito dalle torture – ricostruisce l’uomo che si trovava in carcere con Regeni -. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla verso le celle. Non era nudo, indossava degli abiti. Ho visto un altro detenuto con la schiena blu per i segni di tortura”.

 

C’era una domanda che, secondo l’ex detenuto, è stata rivolta più volte a Regeni. “Insistevano molto con la domanda ‘Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio?’. Ricordo più volte questa domanda ripetuta in dialetto egiziano o in arabo. Non so se Giulio ha risposto o meno. Insistevano molto su questo punto, erano nervosi. Usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente”, aggiunge. A portare Regeni all’interrogatorio c’erano ufficiali che il detenuto aveva già visto, “ufficiali che non avevo mai visto prima” e “un dottore specializzato in psicologia – aggiunge -. Siamo stati sequestrati, torturati e liberati senza un perché”. 

 

La sorella di Giulio, mamma mi disse ‘gli hanno fatto tanto male’

“Ricordo una telefonata nella quale mamma mi disse: ‘hanno fatto tanto male a Giulio’. La parola tortura pero’ l’ho sentita per la prima volta al telegiornale”. Lo racconta Irene Regeni, sorella di Giulio, ascoltata durante il processo sulla morte del fratello, in corso nell’aula Occorsio del tribunale di Roma, avvenuta nel 2016 a Il Cairo, in Egitto. Per le torture e l’omicidio sono quattro gli 007 egiziani imputati. “Giulio era un ragazzo normalissimo – ricorda la ragazza rispondendo alle domande di Alessandra Ballerini, legale della famiglia -, gli piaceva divertirsi. Per me era ‘Giuly'”.

 

Nel 2016 – anno del rapimento e della morte di Regeni -, “avevo 24 anni, quando lui era andato via di casa avevo 12 anni e lui 17: vedevo mio fratello come un ‘esempio’, era il ‘mio fratellone’. Mi è piaciuto tantissimo andarlo a trovare in New Messico con tutta la famiglia e lui, in quell’occasione, mi ha presentato i suoi amici. Sono stata ispirata a essere indipendente, infatti vivo fuori dall’Italia da 8 anni”, racconta Irene Regeni, visibilmente commossa, rispondendo alle domande del pm Sergio Colaiocco. “Avevamo punti di vista diversi sulle cose: lui era un umanista e io una scienziata. Eravamo sempre in contatto sulle cose importanti: ci sentivamo tramite chat e tramite mail”, racconta. “Giulio era interessato alla Storia, ma poi, dopo la triennale, ha iniziato a specializzarsi sull’Egitto. Lui voleva approfondire la lingua araba ed è stato mandato lì dall’università – ricostruisce Irene Regeni -. L’esperienza lo ha appassionato e ne è rimasto affascinato. Era un ragazzo aperto interessato a scoprire altre culture, voleva approfondire sempre tutto”. 

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