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L’indiano e la bambina, il procuratore di Ragusa: “Non voleva rapirla”

Ago 31, 2016

“Il reato da contestare sarebbe quello di ‘presa di bambina in braccio’, ma siccome il nostro codice non lo prevede…”. Prova a ironizzare il procuratore di Ragusa Carmelo Petralia, rientrato dalle ferie per predisporre la relazione richiesta dal procuratore generale di Catania e dagli ispettori del ministero della Giustizia dopo le accese polemiche scatenate dal caso dell’indiano che il pomeriggio di Ferragosto, sul lungomare di Scoglitti, ha preso in braccio una bimba di 5 anni. Un immigrato conosciuto da quelle parti e mai giudicato pericoloso che avrebbe preso la bambina “senza secondi fini” e non intenzionato a rapirla, come invece lasciava intendere la prima nota stampa diffusa dai carabinieri che parlava di una sorta di caccia all’uomo per tutta Scoglitti conclusasi con il fermo del sospettato, poi rimesso in libertà semplicemente perché, secondo la valutazione del pm Giulia Bisello e soprattutto secondo il codice di procedura penale, non c’erano i presupposti per l’arresto. Una decisione che, a fronte di un presunto tentativo di rapimento di una bambina, ha finito per scatenare un inferno mediatico, cavalcato da alcuni quotidiani e rilanciato dai social. Insulti, minacce, anonimi nei confronti della magistrata, intervento del ministro Orlando con annuncio di un’ispezione.

Ora che, placata la bufera, la pm è andata in ferie e Ram Lubhaya è rinchiuso nel Cie di Caltanissetta in attesa di essere espulso dall’Italia perchè nel frattempo si è scoperto che era clandestino, a Ragusa il procuratore racchiude nella sua relazione agli ispettori la reale ricostruzione di quello che è avvenuto il 15 agosto sul lungomare di Scoglitti e prepara comunque la richiesta di giudizio immediato per l’indiano accusato di sottrazione di minore e clandestinità, reati comunque, codice alla mano, punibili con una detenzione inferiore a due anni e per i quali, dunque, non è prevista la custodia in carcere come sollecitava anche la mamma della piccola protagonista di questa vicenda, turbata da quel gesto che lo stesso indiano, poi interrogato dal pm cinque giorni dopo, non è riuscito a spiegare. “Non lo so perchè l’ho presa in braccio,non mi ricordo, ero ubriaco, avevo bevuto un cartone di vino”, si è limitato a dire escludendo però di volere portare via la bambina.

Ecco allora come il procuratore ha ricostruito nella sua relazione agli ispettori un caso che – dice – “è nato da un improvvido comunicato stampa ed è stato creato da una campagna mediatica talmente forte che adesso qualsiasi altra testimonianza dovesse arrivare deve essere considerata inutilizzabile perchè passibile di un eccessivo condizionamento”. Un paio di nuovi testimoni, per la verità, nei giorni successivi al fatto,sono stati sentiti dai carabinieri e hanno confermato che l’indiano non ha mai tentato di allontanarsi con la bambina.

“Il papà – spiega Petralia – con la bambina a fianco (non tenuta per mano) e alcuni amici stava rientrando dalla spiaggia, la mamma si era attardata. Si avvicina questa persona che in zona è conosciuta, un ambulante che in spiaggia vende piccoli oggetti e fa tatuaggi all’hennè e non è ritenuto pericoloso. Si avvicina al gruppo familiare, guarda la bambina, le sorride, le fa una carezza e la prende in braccio. Il padre resta interdetto, lui non si muove, passano non più di 45 secondi e il padre, giustamente infastidito, gli dice di posare la piccola e gliela toglie dalle braccia. L’indiano resta imbambolato, non scappa, non dice niente. Non sono neanche i genitori a dare l’allarme, ma un amico che chiama i carabinieri dicendo: ‘C’è uno che ha tentato di prendere una bambina’. I carabinieri arrivano e lo trovano sempre lì sull’arenile, cento meri più in là, lo fermano per sequestro di persona e se lo portano in caserma. Un fermo tecnicamente sbagliato. L’indiano

passa una notte in cella e il giorno dopo, giustamente, il mio pm lo libera. E lì si scatena un delirio mediatico di una violenza inaudita tale da inquinare il dato probatorio che con calma siamo riusciti a ricondurre alla realtà. Una cosa deve essere chiara: noi possiamo anche avere sbagliato, l’ispezione è anche doverosa, ma su vicende così delicate si deve agire con serenità e non sull’onda di un’emotività incontrollata”.

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