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Processo trattativa, Rognoni: “Gli andreottiani si opposero alla nomina di Dalla Chiesa a Palermo”

Apr 7, 2017

Dal rapimento di Aldo Moro alla nomina del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo, gli sfoghi del presidente della Regione, Piersanti Mattarella che morì sotto i colpi dei killer il giorno dell’Epifania del 1980, “Mi fece il nome di Vito Ciancimino”. All’aula bunker dell’Ucciardone, quella del maxiprocesso ai boss, depone l’ex ministro ed ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Virginio Rognoni. A chiedere la deposizione dell’uomo politico, oggi 93enne, la difesa del generale Mario Mori, del colonnello Giuseppe De Donno e del generale Antonio Subranni. Ministro dell’Interno, della Giustizia e della Difesa, risponde anche al controesame dei pm Vittorio Teresi e Nino Di Matteo.

“La tragedia di Aldo Moro è stata una sconfitta dello Stato” racconta Rognoni prima di ricordare che nel novembre del 1979, due mesi prima di essere ucciso da Cosa nostra a Palermo, l’allora Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, fratello del Presidente Sergio Mattarella, andò a trovare l’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni per sfogarsi sulle difficoltà incontrate nella guida di Palazzo d’Orleans. “Piersanti Mattarella venne da me nel novembre del 1979 e mi disse: ‘Sto combattendo una battaglia difficile, cerco di rovesciare la situazione, soprattutto sui lavori pubblici’ e mi fece il nome di Vito Ciancimino come un nome che contrastava questa sua politica”. Di questo argomento l’ex ministro Rognoni parlò con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che fu nominato da lui Prefetto a Palermo. “Questa è stata l’occasione più importante in cui Ciancimino entrò nei colloqui che avevo avuto con Dalla Chiesa”.

Per contrastare Cosa nostra “bisogna parlarne, nelle scuole, ovunque”, spiega Rognoni. “La mafia va combattuta certamente sul piano della difesa delle istituzioni militari, ma soprattutto attraverso un ritorno rigoroso alle regole dello stato di diritto”, ha aggiunto. Spiegando che proprio “per questo motivo” decise di nominare Carlo Alberto Dalla Chiesa “Prefetto in Sicilia”. E quando il generale stava per essere nominato Prefetto di Palermo, dove poi fu ucciso dalla mafia nel 1982 con la moglie e la scorta, alcuni “parlamentari democristiani vicini alla corrente andreottiana” si opposero alla sua nomina. “Quando si seppe che Dalla Chiesa stava per essere nominato da me Prefetto di Palermo – racconta Rognoni – ci furono delle preoccupazioni espresse da alcuni parlamentari anche del mio partito. Soprattutto della corrente andreottiana. Ci furono diversi mugugni”.

Quando il pm Vittorio Teresi gli chiede di fare dei nomi, Virginio Rognoni risponde: “Ad esempio l’onorevole Mario D’Acquisto di Palermo e altri andreottiani”. Poi spiega il perché decise di nominare nel 1982 Dalla Chiesa Prefetto “e non commissario” a Palermo. “Questa nomina l’avevo decisa progressivamente per due ragioni – dice Rognoni – la prima perché ritenevo che la mafia potesse e dovesse essere combattuta sul piano civile, del riordino dello Stato, per cui un Prefetto con la sua storia poteva essere punto di riferimento e richiamo di questa necessità di comportamenti civili. E poi c’era questa straordinaria volontà di Dalla Chiesa, persona intelligente e forte”. E parlando ancora del generale Dalla Chiesa spiega: “Ricordo che quando lo nominai Prefetto mi disse: ‘Ministro, vado in Sicilia e dovrò scontrarmi con certi ambienti, magari anche vicino al suo partito, facendo riferimento anche a Vito Ciancimino. E io gli risposi: ‘Lei vada avanti, lei è protetto dalla Repubblica. Faccia il suo dovere”.

Poi il 41 bis ai boss: “Seppi in ambito parlamentare di un allentamento sul 41 bis, il carcere duro, da parte dell’allora ministro Giovanni Conso. Ma la stima che avevo per Conso mi dispensava da una critica eventuale”. Dopo l’omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa (3 settembre 1982) e ancora prima di Pio La Torre (30 aprile dello stesso anno) mentre Rognoni era ministro degli Interni, il Parlamento approvò, il 13 settembre 1982, la legge conosciuta come “Rognoni – La Torre”, che introdusse il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso nel codice penale italiano. “Ma a parte mugugni e preoccupazioni – ha proseguito di fronte alla Corte di assise, presieduta da Alfredo Montalto – nessuno mi chiese di modificare la legge Rognoni-La Torre”. “L’assassinio di Salvo Lima fu visto con molto sconcerto – ha ricordato ancora – eravamo nel

pieno delle votazioni per l’elezione del presidente della Repubblica. Il governo seguì questa vicenda con grande preoccupazione”. Il pm Nino Di Matteo ha chiesto se seppe di una nota che lanciava il rischio per Carlo Vizzini e Calogero Mannino. “Ricordo che si discusse e ci fu grande attenzione – ha risposto – ma no, non ricordo questa nota”. Rognoni ha anche specificato di “non avere mai sentito di trattativa tra esponenti delle istituzioni e cosa nostra”.

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