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La manovra italiana sul tavolo Ue con l’incognita Juncker

Feb 20, 2017

MILANO – “Non siamo dei tecnocrati, gli atti della Commissione per la flessibilità italiana valgono più delle parole”. “Non lavoriamo mai contro l’Italia, la Commissione resta al suo fianco nella crisi dei rifugiati e nella gestione delle conseguenze del terremoto”. “Non si può lasciare alle sole Italia e Grecia il compito di farsi carico dei migranti che arrivano” anche perché “l’Italia sta facendo l’impossibile”. Parole e musica di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea. Basta ripercorrere l’ultima manciata di mesi per leggere nelle sue dichiarazioni una sponda costante con il governo tricolore, prima con Renzi e da ultimo con Gentiloni. Un rapporto non certo tutto rose e fiori, arrivato alle scintille quando una uscita del politico lussemburghese (“L’Italia ci attacca sull’austerità ma me ne frego“) ha surriscaldato i toni.

Ora che la necessità di correggere i conti italiani per 3,4 miliardi – per non incappare in una procedura d’infrazione per deficit, in ragione del fardello di debito che il Belpaese si porta dietro senza scalfire sensibilmente – torna sul tavolo dell’Eurogruppo di queste ore, insieme alla questione greca, aleggia il fantasma delle possibili mosse future di Juncker. Come ricostruito da Repubblica, il presidente sarebbe pronto al tutto per tutto per dare una svolta alla casa europea, convinto come è della necessità di procedere a passi spediti verso una costruzione federale. Un progetto che metterebbe anche davanti alla sua permanenza in sella alla Commissione. Al momento da Bruxelles frenano sulle possibili dimissioni, confermate da fonti autorevoli, da giocare qualora mancasse il sostegno politico al suo “Libro bianco” per rilanciare l’Unione e la sua pubblicazione venisse rimandata nel tempo. “E’ qui per restare, per combattere tutte le crisi che l’Europa sta affrontando, dalla Grexit alla Brexit, alla migrazione. Motivato come il primo giorno”, dice il portavoce della Commissione europea aggiungendo che “non si dimetterà”. “Il fatto di aver annunciato nel 2014 che farà solo un mandato – spiegano dalla Commissione – permette a Juncker di avere un approccio ambizioso e indipendente, in particolare perché si parla del futuro dell’Europa”.

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Ovviamente l’Italia è uno spettatore interessato della vicenda. La Ue ha chiesto di correggere i conti per 0,2 punti di Pil (3,4 miliardi di euro appunto) e quando Roma ha inviato i propri impegni a inizio febbraio l’accoglienza è stata tiepida. Nelle ultime ore si sta lavorando al menu dei tagli e nel fine settimana fonti di governo hanno escluso inasprimenti delle accise sulla benzina. Il ministro Pier Carlo Padoan si è impegnato ad agire, ma sono rimasti i dubbi sulle tempistiche dei provvedimenti. Il 22 febbraio ci sarà la prova della verità, con la pubblicazione di un rapporto ad hoc sul debito italiano: per non aprire la procedura d’infrazione, Bruxelles vuole che a stretto giro l’Italia metta in piedi la manovra di correzione.

Come spesso accade, insomma, si cerca di far convivere la griglia di regole con le necessità contingenti. Proprio quella lettura “politica” delle regole di cui Juncker si è fatto portavoce, in una struttura tecnocratica a fortissima trazione tedesca dalla quale si è via via smarcato. Non è un caso se la svolta flessibile del Patto di stabilità e l’impegno ad adottare una politica di fiscale espansiva siano arrivate dal presidente – in tandem con il commissario Moscovici – e abbiano a volte portato alla freddezza del blocco “nordico”. Un blocco che si rinsalderebbe intorno alla figura del finlandese Jyrki Katainen in caso di passo indietro di Juncker: significherebbe con grande probabilità tornare a una lettura rigida delle regole, più complicata per l’Italia.

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