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La guerra di Trump alla Cina fa felici Europa, Canada e Giappone

Giu 15, 2019

Le tariffe feriscono. Ma anche le ritorsioni fanno male. Soprattutto quando, facendo ricorso all’armamentario dei tempi moderni, queste ritorsioni sono modellate da un algoritmo segreto, studiato per colpire specificamente i punti deboli dell’avversario.

Nella mischia delle guerre commerciali che Trump apre a ripetizione in tutte le direzioni, è ancora difficile valutare costi e benefici economici delle misure protezionistiche, soprattutto se, come appare avvenire sempre più spesso, la Casa Bianca vanta risultati che non trovano riscontro nei testi degli accordi. Chi sembra già fin d’ora sconfitto, però, è quel manipolo di ultraliberisti, convinto che alle tariffe fosse meglio non rispondere, perché le controtariffe avevano ugualmente effetti negativi. Invece, alle tariffe di Trump, Cina, Europa, Canada, Messico hanno sempre risposto. Chi vince e chi perde, dunque, per ora?

Come avevano previsto gli economisti, in termini complessivi l’offensiva protezionistica di Trump ha avuto effetto zero – anzi, negativo – sul disavanzo commerciale americano, per il semplice motivo che gli americani continuano a spendere più di quanto producano e, se non importano dalla Cina, importano da qualcun altro. Ad aprile la bilancia commerciale Usa è in passivo per 50 miliardi di dollari, in seguito ad un peggioramento costante, mese dopo mese. Un anno fa, il disavanzo mensile era di 45 miliardi di dollari. Ma i dati dicono che, anche con la Cina, Trump non è andato da nessuna parte. Con tutto lo sbarramento di tariffe, il deficit con la Cina a maggio è stato di oltre 41 miliardi di dollari, contro i 23 miliardi di maggio 2018.

Con qualche sarcasmo, un recente studio del Peterson Institute of International Economics, nota, già nel titolo, che “Trump è riuscito a convincere la Cina ad abbassare i propri dazi. Solo, verso tutti gli altri”. In altre parole, mentre l’America esporta meno in Cina ed importa di più dagli altri paesi, la guerra di Trump si è tradotta in un regalo per europei, canadesi, giapponesi. All’inizio del 2018, prima delle tariffe, la Cina applicava a tutti un dazio medio dell’8 per cento. Adesso, colpo dopo colpo, le tariffe sulle importazioni dagli Usa sono cresciute fin oltre il 20 per cento. Quelle verso gli altri paesi si sono ridotte al 6,7 per cento.

Nel ring pugilistico in cui la Casa Bianca ha trasformato il commercio internazionale, Trump ha incassato qualche gancio anche dall’Europa. Uno studio dell’Ifo, il più importante centro di ricerca tedesco, registra che, nella seconda metà del 2018, le esportazioni Usa verso la Ue sono calate di 15 miliardi di dollari. Ma lo scontro non avviene solo alle dogane. I due ricercatori tedeschi, Thiemo Fetzer e Carlo Schwarz, riferiscono di un algoritmo segreto, messo a punto dagli uffici di Bruxelles, per colpire, con le controtariffe europee, le aree americane, politicamente più importanti per Trump. La Commissione Ue aveva, in effetti, spiegato di aver scelto, nel colpire con i dazi singoli beni, prodotti particolarmente sensibili. Ma non aveva detto “politicamente sensibili”.

Invece, dice l’Ifo, con l’algoritmo si sono compiute scelte, calcolate con precisione – è il termine scelto da Fetzer e Schwarz – “granulare”. Da un lato, si sono scelti prodotti per cui gli Usa non sono il principale fornitore, così da minimizzare i danni all’economia europea. Dall’altro, si è andati a colpire specificamente le produzioni delle aree che, nel 2016, avevano virato sul voto a Trump, ovvero dove il voto per il candidato presidenziale repubblicano era cresciuto del 3-5 per cento.

Probabilmente, la Ue non è l’unica ad avere approntato algoritmi così. L’Ifo osserva, però, che il margine – per europei, canadesi e messicani – per aumentare ulteriormente il grado di “puntamento politico” dei dazi è ancora ampio, mentre Pechino, per via della natura delle sue esportazioni, ha spazi più limitati. Ma l’algoritmo ha funzionato? Secondo Fetzer e Schwarz, sì. Nelle elezioni di midterm dello scorso novembre, i consensi ai repubblicani, nelle zone prese di mira dai dazi europei, sono scesi fra l’1,4 e il 2,7 per cento e il tasso di approvazione di Trump continua a calare.

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