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Il neo ministro degli Affari regionali Francesco Boccia (Pd) punta al modello Emilia Romagna, che era andata più avanti nel taglia e cuci sui testi nella fase finale della trattativa sull’autonomia differenziata, passata direttamente al premier Conte a Palazzo Chigi
di Gianni Trovati
7 settembre 2019
2′ di lettura
Il cambio di inquilino agli Affari regionali dalla leghista Erika Stefani a Francesco Boccia del Pd (senza passaggio ufficiale di consegne a quanto si racconta) non blocca ufficialmente il cammino dell’autonomia differenziata. Ma lo modifica profondamente. Ripartirà «dai punti di contatto che erano stati trovati già con lo scorso governo pur da impostazioni diverse», ha spiegato ieri il neoministro uscendo dal Quirinale dopo il giuramento.
E il riferimento punta dritto all’Emilia Romagna, che era andata più avanti nel taglia e cuci sui testi nella fase finale della trattativa, passata direttamente al premier Conte a Palazzo Chigi. Che cosa significa, in concreto? Al di là del cambio di colore del governo, che relega all’opposizione il leghismo a trazione nordista incarnato dai presidenti di Lombardia e Veneto, le distanze si concentrano sui dossier più pesanti anche sul piano economico nell’elenco di richieste di Attilio Fontana e Luca Zaia.
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Primo, la scuola. Lombardia e Veneto hanno proposto la regionalizzazione degli insegnanti, con due obiettivi: la possibilità di integrare con risorse locali i fondi per la contrattazione decentrata (avviene già in sanità), e contrastare il fenomeno delle cattedre lasciate vuote dal ritorno di molti insegnanti nelle proprie zone d’origine al Sud. In sede tecnica si è tentata fino all’ultimo una mediazione, per provare a raggiungere lo stesso effetto senza ruoli regionali. Ma è saltata.
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