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Nuove verità e scoperte sui vaccini contro il Covid-19: tra efficacia ed effetti avversi

Feb 24, 2023

Un nuovo studio australiano ha dimostrato importanti differenze nel modo in cui i vaccini AstraZeneca e Pfizer contro Sars-Cov-2 influiscono sul sistema immunitario. I ricercatori hanno seguito le risposte immunitarie di 102 adulti di età diverse, tutti residenti nell’Australia meridionale, dove all’epoca in cui si è effettuata la ricerca non esisteva alcuna trasmissione comunitaria di Sars-Cov-2. Ai partecipanti è stato prelevato il sangue immediatamente dopo ogni dose dei vaccini Oxford/AstraZeneca o Pfizer/BioNTech Covid-19. Sono stati anche testati 28 giorni dopo ogni immunizzazione per valutare l’attività dei linfociti B e T.

 

Ricordiamo che mentre il vaccino Pfizer utilizza la tecnologia mRna per indurre le cellule ospiti a produrre la proteina spike Sars-cov-2, il vaccino AstraZeneca utilizza un virus innocuo (un adenovirus di scimpanzé) per esprimere la proteina spike. In tutti i casi, si è osservato anche che le risposte immunitarie indotte immediatamente dopo la vaccinazione hanno predetto la successiva risposta delle cellule B e T al vaccino misurata ventotto giorni dopo. Dopo la prima dose, è emerso che il vaccino Oxford/AstraZeneca suscita una risposta di memoria inaspettata, come se non fosse cioè ignoto al sistema immunitario; è una risposta che, in particolare, è mirata contro il vettore adenovirale del vaccino, non contro la proteina spike di Sars-Cov-2.

 

Si tratta di un fatto inatteso, perché il vettore è costituito da un virus di scimpanzè, a cui chiaramente gli esseri umani non possono essere stati esposti prima; ma, nonostante i dati precedentemente ottenuti dai diversi gruppi che hanno sviluppato questo tipo di vettori virali, evidentemente la differenza non è sufficiente perché non sia evocata la risposta di memoria stabilita per fronteggiare i comuni adenovirus umani, quelli responsabili di forme di raffreddore comuni nella popolazione. Se questo nuovo studio sarà confermato in questo aspetto, si tratta di una limitazione importante, proprio quella in base alla quale cioè aziende come Reithera o Astra Zeneca avevano scelto di utilizzare vettori diversi da quelli umani (contrariamente ad aziende come J&J o varie cinesi o i russi): evidentemente, non è bastato allontanarsi dai patogeni umani, e il nostro sistema immunitario è ancora in grado di riconoscere qualche antigene.

 

Sarà importante quindi in generale, e non solo per questo caso specifico, sapere quanto risulteranno solidi i dati australiani; di certo, si tratta di un punto da investigare a fondo. Inoltre, si è pure osservato come l’intensità di questa sorta di risposta di memoria immunitaria contro il prodotto di Oxford/AstraZeneca sia correlata all’espressione di proteine che agiscono da precursore della trombosi o della coagulazione del sangue; questo significa che lo stesso meccanismo identificato potrebbe essere alla base dei rarissimi effetti di trombocitopenia trombotica immunitaria indotta dal vaccino Oxford/AstraZeneca e da quello di J&J. Confermando precedenti dati, il nuovo studio australiano ha anche scoperto che coloro che avevano ricevuto solo due dosi del vaccino Oxford/AstraZeneca generalmente producevano quantità inferiori di anticorpi e una minor quantità di un tipo specializzato di cellule T che aiutano con la produzione di anticorpi, rispetto a coloro che avevano ricevuto due dosi del vaccino Pfizer/BioNTech; entrambi gli effetti sono risultati particolarmente evidenti nelle persone più anziane.

 

In modo molto interessante, entrambi gli effetti sono stati corretti dopo una terza dose di richiamo di un vaccino a mRna, illustrando come evidentemente la differenza di efficacia dei diversi vaccini contro Sars-cov-2 è in qualche modo legata anche alla natura della piattaforma tecnologica utilizzata per indurre il riconoscimento dell’antigene da parte del nostro organismo. Un’ulteriore sorpresa per i ricercatori è stata poi la scoperta che il malessere dopo una dose di vaccino può davvero essere collegato alla sua efficacia, un dato questo in accordo con l’intuitiva sensazione di moltissime persone, ma che sin qui non aveva trovato ancora una conferma tanto netta come in questo studio.

 

In particolare, le persone che hanno mostrato sintomi di affaticamento e febbre subito dopo la terza dose avevano maggiori probabilità di avere una miglior risposta mediata dai linfociti T. Tirando le somme, questo nuovo studio dimostra come la tecnologia basata su vettori adenovirali presenta alcuni elementi limitanti importanti, su cui sarà necessario lavorare in futuro, almeno per quel che riguarda i vaccini oggi disponibili e certamente per quel che riguarda la possibile memoria immunologica contro i loro vettori; contemporaneamente, è pure ben chiaro che anche una singola dose di un vaccino a Rna, a seguito di vaccini diversi, permette di recuperare efficacia, aprendo la strada per il recupero di vaccinazioni eterologhe utili e di pari efficacia alle vaccinazioni basate su solo Rna.

 

Più studi di questo tipo avremo a disposizione, meglio saremo preparati a migliorare i prodotti esistenti; ed è per tale motivo che, anche in una fase relativamente tranquilla dal punto di vista pandemico, ci si concentri nell’estrarre il massimo numero di informazioni possibili da campioni già raccolti e in studi di nuovo tipo. Sempre che, ovviamente, non si vogliano accantonare vaccini e virus, fingendo che la cosa non ci riguardi più.

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