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Terrorismo, Fatima condannata a nove anni: era la prima foreign fighter italiana

Dic 19, 2016

Nove anni di reclusione, per terrorismo internazionale e organizzazione di viaggi a fine di terrorismo. Questa la pena decisa dalla Corte d’Assise di Milano per Maria Giulia Sergio, 29enne foreign fighter nota con il nome di Fatima, che era pronta anche al martirio e che ai proprio genitori diceva: “Venite qui in Siria, qui tagliamo teste, presto lo faremo anche a Roma”. È la prima volta che in Italia viene condannato un foreign fighter, effettivamente partito per il sedicente stato islamico.

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La donna, nata in Campania, è partita da Inzago nel milanese nel 2014 e ora sarebbe in Siria. La decisione conferma esattamente la richiesta di pena formulata dai pm Maurizio Romanelli e Paola Pirotta, che per lei avevano auspicato il massimo della pena possibile, come pure per i cinque coimputati. A processo era infatti anche il marito albanese di Fatima, Aldo Kobuzi. Per lui la corte ha addirittura superato la richiesta di pena formulata dalla procura, infliggendogli una condanna a dieci anni di carcere, contro i nove ritenuti congrui dai pm.

Il padre di Giulia Maria Sergio Sergio, unico imputato non latitante, è stato condannato a 4 anni di reclusione. Una decisione particolarmente severa. I pm avevano infatti chiesto tre anni e quattro mesi. Per Bushra Haik, coetanea di Fatima accusata di essere la reclutatirce di fatima e di sua sorella Marianna Sergio, la pena decisa dalla corte è invece di nove anni (in linea con la richiesta). Per Donica Coku, madre di Aldo Kobuzi, otto anni (come da richiesta). E la stessa pena è stata inflitta a Seriola Kobuzi, sorella di Aldo. Quanto alle attenunti, la Corte presieduta dal giudice Ilio Mannucci Pacini ha ritenuto di riconoscere le generiche al solo Sergio Sergio. Per tutti i condannati di nazionalità non italiana è stata disposta l’espulsione dal Paese.

NELL’INCHIESTA ANCHE IL PADRE, LA MADRE E LA SORELLA

Secondo quanto ricostruito in aula dal pm Romanelli nella scorsa udienza, Fatima sarebbe stata indottrinata dalla giovane Bushra, “vera e propria “maestra di jihad” che le avrebbe insegnato come “uccidere i miscredenti occidentali non solo è lecito, ma è un dovere”, educandola “all’esaltazione del terrorismo e degli atti terroristici, anche commessi nei Paesi occidentali come l’attentato alla redazione parigina di Charlie Hebdo”. Nelle conversazioni con i mujaheddin al fronte, la maestra di jihad Bushra diceva infatti alle sorelle Sergio: “Lo stato Islamico arriverà anche in Italia, e noi saremo lì ad aprire le porte”. Il pm parla di “una visione distorta della religione”. E in riferimento all’indagine condotta dalla Digos – che con rito abbreviato ha già portato a quattro condanne, in un procedimento collegato – Romanelli ha ricordato come “per la prima volta in Italia si è riusciti a ricostruire dall’interno le attività dell’Isis”.

Romanelli, di recente promosso procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ha sottolineato anche la “straordinaria pericolosità” di Fatima. E ha ricostruito come la ragazza abbia “approfondito le sue conoscenze” e “le cose che diceva” attraverso Skype e altre forme di comunicazione online, ne parlava ai suoi familiari, “sempre sorvegliata da un addetto della polizia religiosa dell’Isis”. La ragaza avrebbe fatto “attiva propaganda jihadista” per convincere i propri parenti a lasciare Inzago, raggiungere la Siria e combattere nei ranghi dell’esercito del sedicente stato islamico. Parlando della madre, nel frattempo deceduta, Fatima (intercettata dalla Digos) diceva “il jihad è obbligatorio per tutti, anche per chi ha 70 o 80 anni. Ognuno secondo le proprie possibilità”.

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La procura ha riferito nel processo di “un meccanismo di indottrinamento a cascata”. Tanto che i precetti dell’Islam violento, secondo cui “il miscredente va bruciato vivo”, tramite Skype passavano direttamente dal campo di battaglia siriano al piccolo appartamento di Inzago dove vivevano i Sergio. Una famiglia arrivata dal Sud Italia, prima fortemente cattolica, poi convertita in blocco all’Islam radicale. Quanto all’effettivo impegno di Fatima in Siria, Romanelli ha rimarcato come “nei territori del cosiddetto stato islamico esiste un vero e proprio registro dei mujaeddin”. L’Isis tiene elenchi, li ordina, li aggiorna. E dà precise indicazioni agli affiliati per quanto riguarda l’intelligence e quelle che il pm ha definito “attività di contro-inchiesta”: conversazioni tramite telefoni che si ritengono non intercettabili, attenzioni sull’utilizzo dei social network, ricerca esasperata delle “spie”.

Alla Corte d’Assise, sempre nelle scorse udienze, Romanelli ha ricordato passaggi delle conversazioni fra Fatima e altri combattenti. “Per loro il Califfato è lo Stato perfetto – ha riferito in aula il pm – perché si fanno tante cose e si tagliano le teste: noi decapitiamo i ladri, i miscredenti e le spie in nome di Allah”. Fatima, come emerso dalla intercettazioni agli atti dell’inchiesta, “era già in Siria e non vedeva l’ora che il Califfo facesse combattere anche le donne e insegnava che il vero musulmano che non può raggiungere lo Stato islamico deve compiere il Jihad nel territorio in cui si trova”. Ai genitori, che ancora si trovavano a Inzago, diceva: “Venite qui e morirete da martiri”.

Sergio Sergio, sentito nelle scorse udienze, rivolto alla Corte ha detto: “Non volevo fare la guerra, volevo stare con mia figlia, non

sapevo queste cose. Non ero contento di partire, ma le mie figlie mi hanno forzato ad andare con loro”. Secondo il pm Romanelli, “è stato lui ad organizzare la partenza della moglie e di Marianna in Siria”. L’uomo, arrestato nel 2015 assieme ad altre 11 persone, sarebbe stato pronto a partire a sua volta per la Siria. Avrebbe infatti radunato i pochi soldi che aveva messo da parte in tanti anni, con l’intento di trasferirli allo stato islamico.

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