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Riaperta la questione regionale, serve responsabilità

Ott 22, 2017

Il referendum di Veneto e Lombardia per l’ampliamento delle loro competenze porr inevitabilmente dei problemi al futuro assetto del nostro paese. Non certo perch si tratti di iniziative illegittime od orientate contro l’ordinamento costituzionale vigente: nulla di simile a quanto accade in Catalogna e chi non lo capisce mesta nel torbido. Semplicemente perch siamo davanti ad una materia molto complessa che non si esaurisce in un pronunciamento a favore o contro l’allargamento dei poteri di governo delle regioni (virtuose).

Assegnare a una regione una ampia sfera di amministrazione nello spirito stesso di quella scelta a favore di questi enti che risult vincente nella nostra costituente. Sino da subito ci si scontr con l’inveterata tradizione del nostro centralismo. Erano due visioni contrapposte che rimangono tuttora in campo: quella che ritiene che il miglior governo sia quello affidato ad una istituzione “vicina” agli amministrati e quella che pensa invece che in uno stato moderno si debba garantire l’eguaglianza delle prestazioni verso tutti i cittadini, sia a prescindere da dove hanno fissato la loro residenza sia tenendo conto della mobilit che li porta per varie ragioni a spostarsi da una regione all’altra.

Il problema italiano che questi referendum mettono a nudo rimane che non si mai neppure cercato di trovare un contemperamento fra queste due esigenze, entrambe importanti oltre che legittime. Le regioni sono state attivate tardivamente e non tutte hanno dato buona prova di s. Tuttavia c’ stata una fase, anche per compiacere il pasticciato secessionismo della Lega, in cui si spinto l’acceleratore verso un ampliamento dei poteri delle regioni, che sono divenuti soprattutto poteri di spesa. I tentativi di regolare la materia con una riscrittura di una parte della Costituzione non sono stati felici: uno bocciato da un referendum confermativo, uno sopravvissuto azzoppato, hanno pi che altro contribuito ad intasare di ricorsi la Corte Costituzionale chiamata ad arbitrare il conflitto

fra stato e regioni.

Ne era derivata una fase di svalutazione pesante delle regioni, considerate, un po’ troppo cumulativamente, enti spendaccioni e di sperpero, sicch sull’onda di campagne di indignazione pubblica verso le “caste” regionali si era cercato di optare per una regolamentazione pi restrittiva che aveva trovato una sede in norme, per la verit non esattamente ben concepite, inserite nella riforma costituzionale Renzi-Boschi.

Con la sua bocciatura, la situazione era tornata nell’alveo delle norme precedenti, cio in quel terreno scivoloso di incertezze sui confini fra stato e regioni in varie materie. Certo rimaneva attivo il combinato disposto degli articoli 116 e 117 della Carta, che prevedeva la possibilit di ampliare le materie da lasciare alla competenza delle regioni ordinarie ove queste avessero avuto i conti in regola. Ci per le ovvie ragioni che si tratta di competenze che implicano spesa e che le entrate per coprirle andavano trovate lasciando alle regioni la gestione diretta di una quota del gettito fiscale che lo stato raccoglie nei territori di loro competenza.

Ora il tema che diverr importante non verificare se Veneto e Lombardia hanno i conti in ordine e le capacit amministrative per gestire questo allargamento di competenze, perch si sa benissimo che la risposta alla domanda affermativa. Si tratta di valutare come si far ad inquadrare questo cambiamento nel contesto di un paese che non presenta omogeneit sotto quel profilo e che in una contingenza di notevole instabilit negli equilibri di governo. E per di pi in una complicata contingenza elettorale.

Gi assistiamo a promesse indebite di allargamento di quanto richiesto da Veneto e Lombardia a tutte le regioni. Questo s che al momento un vulnus alle disposizioni costituzionali, perch si sa bene che non tutte le regioni hanno i conti in ordine. Ma si aggiunga che non c’ alcuna riflessione su come far s che le competenze che eventualmente passeranno dallo stato alle regioni (tanto per far un esempio: quelle in campo scolastico e di ricerca) siano gestite in un’ottica nazionale che deve essere preservata se vogliamo rimanere una nazione. Si rimanda a “dopo” la soluzione di come si far ad attivare presso la regione le burocrazie necessarie per gestire le nuove competenze e cosa se ne far di quelle statali che attualmente se ne occupano.

Possono apparire questioni tecniche se non proprio di dettaglio, ma invece sono essenziali. In un quadro di lotte politiche esasperate e di tentazioni populiste che si insinuano dovunque si pu ben immaginare cosa potrebbe significare una corsa al regionalismo sregolato. Non crediamo sia ci che vogliono i vertici delle regioni che hanno promosso questi referendum, ma proprio per questo non possono esimersi dal disciplinare le loro domande e dall’affrontare responsabilmente i pericoli di derive disgregatrici che potrebbero sorgere a livello nazionale.

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