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Recensione Urban Empire

Feb 19, 2017

Bello essere sindaco, oppure no?

La componente legata alla gestione e alla crescita della città risulta qundi poco funzionale. Si può chiudere un occhio sull’interfaccia caotica e sulle informazioni ambigue, ma la quasi impossibilità di veder crescere il proprio centro urbano a causa di una crescita economica che tende forzatamente al ribasso, non fanno altro che rendere il gioco inutilmente frustrante

Basterebbe un migliore bilanciamento dei costi e una maggiore crescita della popolazione per rendere Urban Empire un city builder più apprezzabile. Ormai il caposaldo del genere è l’ottimo Cities Skylines e Reborn Games ha giustamente scelto di non sfidarlo apertamente, ma di proporre questo mix fra un gestionale cittadino e politico. Però incentrare tutta la difficoltà – forzatamente – nell’espansione della città e non nella gestione di quello che si è costruito, non aiuta.

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In Urban Empire è inutile, ad esempio, costruire una clinica dispendiosa per aumentare il benessere della popolazione. A cadenza regolare si verificano degli eventi, in teoria casuali ma dopo qualche ora piuttosto ripetitivi, che aumentano di qualche punto quel valore a seconda della nostra scelta. Forse sarebbe stato meglio consentirci di costruire un ospedale al posto di dover attendere senza far nulla mentre gli anni passano.

Destra o sinistra? Liberale o conservatore?

Se la gestione cittadina non è perfetta, allora forse lo è la caratteristica del gioco più interessante, almeno sulla carta. Basta con i soliti poteri da divinità che ci permettono di tiranneggiare sulla nostra metropoli. In Urban Empire bisogna sempre chiedere il permesso ai partiti che infestano il consiglio comunale.

L’idea alla base è ottima. I diversi partiti hanno correnti politiche differenti e fra liberali e conservatori non è semplice accontentare tutti. Alcuni editti saranno facilmente appoggiati da alcuni gruppi, mentri altri si opporranno. La fascia di popolazione maggiormente presente permette a un determinato partito di avere la maggioranza al consiglio, o comunque più rappresentanti. Con il passare delle ere, gli schieramenti aumentano di numero, ognuno con una diversa corrente di pensiero.

Ogni qualvolta si voglia costruire un nuovo distretto, istituire un nuovo servizio o promulgare qualche legge bisogna passare attraverso una votazione che dura diversi mesi, o un po’ meno se si spende parte del proprio prestigio, oppure si può tagliare la testa al toro e saltare il voto – non sempre – se utilizziamo i nostri fondi personali.

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Ora non resta che spostare l’ago della bilancia a vostro favore. Purtroppo il sistema è davvero semplice e non si modifica nel tempo. Una barra mostra i partiti favorevoli, quelli che si oppongono e gli indecisi e ci offre anche una proiezione dei risultati, che durante la nostra esperienza è risultata sempre giusta.

Per darci un’idea di chi è d’accordo e chi no, in un piccolo riquadro sono posizionate le icone dei partiti: quelle in alto a destra rappresentano gli schieramenti di destra e conservatori e per simmetria quelle in basso a sinistra mostrano i raggruppamenti di sinistra e liberali. Quando chiediamo o è richiesta una votazione, nel riquadro sono mostrate anche delle aree verdi, gialle e rosse. Si capisce così subito chi è favorevole e chi invece no.

Tutta questa apparente complessità si traduce nello spendere favori – un valore che aumenta automaticamente col passare del tempo a seconda di quanto siamo apprezzati come sindaco – per convincere con le buone o con le cattive i partiti a seguirci. Bene o male, anche se i nostri favori sono in negativo e quindi l’influenza che abbiamo su uno schieramento si riduce, basta ripetere più volte le stesse azioni e alla fine si convincono a fare quello che vogliamo. Solo nel caso di conti estramamente in rosso diventa impossibile fargli cambiare idea.

Andando avanti tra le varie epoche si arriva anche alle elezioni, in cui sempre il consiglio deciderà se rinnovare la nostra posizione di sindaco ogni 6 anni, ma la procedura da svolgere resta sempre la stessa. Ed ecco spiegato perché a lungo andare Urban Empire diventa monotono. Se il lato gestionale è azzoppato da un economia estramente punitiva, che si può risanare solo aumentando le tasse, quello politico soffre di una meccanicità eccessiva e gran parte del tempo lo si passa semplicemente aspettando il nuovo evento o votazione.

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Tutto questo nonostante un comodissimo albero tecnologico che permette di sbloccare nuove leggi e nuove strutture e servizi, che però non si riescono quasi mai a utilizzare. Il mondo si evolve, ma la nostra città no.

Metropoli o paese?

Il motore di gioco di Urban Empire è solido e mantiene senza problemi un framerate costante, soprattutto perché non c’è molto da mostrare che abbia bisogno di potenza di calcolo in quantità. I distretti non sono altro che dei poligoni, che restano piatti e vuoti. Ci sono case, fabbriche e negozi ma nulla che faccia gridare al miracolo.

Inoltre, non è possibile allontanare la visuale per avere un colpo d’occhio completo della nostra città nonostante l’area edificabile non sia particolarmente vasta.

Conclusioni

È una delusione dover bocciare Urban Empire. Gli sviluppatori hanno cercato di proporre qualcosa di differente, ma il gioco paga un’eccessiva rigidità dell’economia, un sistema politico alla lunga noioso e privo di imprevedibilità e un lato puramente gestionale misero.

Il prezzo di 44,99 euro non contribuisce a rendere il titolo appetibile, quindi il nostro consiglio è di guardare ad altri city builder o al più attendere i futuri aggiornamenti, poiché c’è comunque un discreto margine di miglioramento, soprattutto se Reborn Games riuscisse a bilanciare meglio le spese necessarie per la crescita della città.

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