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La svolta cinese: crescita sostenibile, anche se più lenta

Mar 5, 2018

PECHINO – “Prima la qualità. Prima la stabilità”. Ha nuove priorità la Cina di Xi Jinping. Non più una crescita a tutti i costi, sociali o ambientali. Ma uno sviluppo sostenibile, anche rinunciando a qualche punto di Pil. La volontà del segretario, sempre più proiettato a restare alla guida del Dragone oltre i canonici dieci anni, è stata tradotta lunedì in numeri dal premier Li Keqiang, di fronte all’Assemblea nazionale riunita nella Grande sala del Popolo in Piazza Tienanmen. Noi lo definiremmo un programma di governo, che proietta la crescita del Pil per il 2018 al 6,5% (contro il 6,9%, oltre le attese, dello scorso anno), ma soprattutto omette la classica formula “più alto possibile”. Non solo: la Cina vuole rallentare la corsa del debito e far scendere il disavanzo, dal 3 al 2,6% del Pil.

Non si può certo parlare di austerità, gli investimenti pubblici continueranno a crescere (compreso il budget militare, guardato con grande preoccupazione dal resto del mondo, che salirà dell’8,1%). È piuttosto il tentativo di disinnescare i principali fattori di rischio che potrebbero mettere in pericolo la stabilità della Cina, e con questa la stretta autoritaria di Xi. Il primo è la bolla del debito, pubblico ma soprattutto provinciale e privato. Che il regime voglia mettere un freno alle acrobazie finanziarie delle sue aziende si era già capito nelle ultime settimane, con il commissariamento del gigante assicurativo Anbang e di quello del petrolio Cefc. “Ci sarà una repressione severa verso le attività che violano la legge”, ha detto Li, e una nuova e più coordinata regolazione. Il nuovo governatore della Banca centrale sarà nominato nei prossimi giorni.

La seconda mina che Xi vuole disinnescare sono i rischi ambientali. Se è vero che nelle ultime settimane a Pechino la cappa di smog ha dato tregua, la strada verso una situazione accettabile è ancora lunga. Per rivedere i “cieli blu”, parola di Li, la Cina vuole tagliare del 3% il consumo di energia per punto di Pil. Qui l’equilibrio è delicatissimo. L’unica strada infatti è chiudere le più vecchie e inefficienti industrie pesanti, a cominciare da acciaio e carbone. Ma questo significa lasciare per strada migliaia di lavoratori, per lo più nelle aree più povere del Paese. Pochissimi potranno essere riconvertiti al servizio della nuova Digital China, l’hi-tech su cui punta Pechino, ma la scommessa del partito è che alla fine i conti tornino: il governo si aspetta di creare il prossimo anno 11 milioni di posti di lavoro “urbani”, con un tasso di disoccupazione nelle città del 5,5%.

L’ultima priorità è che la crescita dei redditi personali proceda di pari passo con quella dell’economia, frenando la selvaggia esplosione delle diseguaglianze creata dal boom cinese. Negli ultimi tempi Xi si è fatto vedere sempre di più alla periferia dell’impero, nelle aree più povere. E nel programma messo nero su bianco da Li c’è l’obiettivo di ridurre nel 2018 la popolazione rurale in stato di povertà di 10 milioni di individui, compresi 2,8 milioni di persone da ricollocare. Nel complesso, un percorso di riconversione dell’economia lungo e difficile. Xi si sta conquistando il tempo e il potere necessari per realizzarlo. Sapendo che, al contrario, il suo destino dipende anche dalla capacità di tenere fede a queste promesse.

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