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“La mia piccola Asya aveva il tumore e il pediatra diceva di darle l’antibiotico”

Giu 19, 2016

GIUGLIANO. “Hanno fatto troppo male a mia figlia e ora voglio giustizia per lei”. Non si dà pace Maria Ciervo, madre della piccola Asya Bosco, in partenza per affrontare un intervento chirurgico a Milano. Il 4 ottobre 2014 la bambina moriva a 3 anni per un neuroblastoma al quarto stadio che aveva prodotto già metastasi. Due giorni fa l’arresto del pediatra che la aveva in cura e della moglie, che esercitava nella sua struttura senza avere l’abilitazione. Una storia raccapricciante. “Ancora un giorno e l’avrei trovata soffocata nella culla”. Sul tavolo di cucina, nella casa di Giugliano, le foto della bambina dallo sguardo sempre gioioso, nonostante le sofferenze, con il berretto perché aveva perso i capelli per la chemioterapia: “Non ha mai pianto, affrontava le cure come un’adulta, anche quando alla fine aveva il visetto gonfio”. Il racconto dei Bosco è quello di un calvario disumano.

Signora, il pediatra di sua figlia ora è agli arresti domiciliari, con la moglie: come l’aveva trovato e quando gli portò Asya per la prima volta?

“Tutti dicevano: “Angelo Coronella è il migliore”. Mi fidavo di lui ciecamente, questo è stato il mio errore. Il primo controllo a 3 mesi al centro pediatrico di Casal di Principe, dove la moglie di Coronella, Ersilia Pignata, mi fu presentata come medico: si faceva chiamare dottoressa. La bambina soffriva di rigurgiti. Loro dissero: tutto nella norma, continuate la terapia finché non compie un anno. Intorno ai 9 mesi però Asya non riusciva a tenere la testa dritta. Tornai da loro e la finta dottoressa mi disse di non preoccuparmi, di tenerla con il collo in alto e metterla a dormire a pancia sotto. Non so se fu un caso, ma i disturbi effettivamente si fermarono”.

E poi?

“Un paio di mesi dopo Asya ebbe un’infezione alle vie urinarie. Fu ancora la moglie del dottore a farle un’urinocultura. Un paio d’ore dopo, quando arrivò il risultato, chiedemmo un’ecografia. Mio marito e io notammo una piccola macchia scura che ci insospettì, ma la signora ci rassicurò. Prescrisse antibiotico e antinfiammatorio e ci fu detto di tornare dopo 2 mesi”.

Il pediatra non c’era?

“In due anni l’avrò visto sì e no due volte, all’inizio e alla fine. Ho dubbi anche su di lui, comunque”.

In che senso?

“I medici veri li ho conosciuti dopo: un pediatra, di fronte a una situazione come la nostra, avrebbe dovuto indirizzarci a uno specialista. Quando portai mia figlia all’ospedale pediatrico Santobono di Napoli mi dissero: “Signora strappi quelle prescrizioni, questo medico lo conosciamo, ha fatto anche altri guai”. In quel centro mi abbagliarono con i loro macchinari sofisticati. Ogni cosa costava cara: la visita, 70 euro, 10 un’iniezione, ma mai una ricevuta”.

Che cosa accadde ad Asya?

“Non dormiva, si lamentava, anche se restava socievole. Peggiorava. Il 5 settembre 2013 la sentii affannata e la riportai al centro. Mi fecero entrare da un accesso secondario. “Ci sono lavori in corso”, mentirono: seppi poi che lo studio era sotto sequestro, erano stati denunciati per una neonata curata male. Questa volta Asya fu visitata da Coronella, ci dissero che la moglie si stava occupando di altri pazienti. Le fece un’ecografia alla gola, disse che la bambina aveva dei muchi. Invece era una massa tumorale. Prescrisse cortisone e antibiotico. Ma mia figlia peggiorava. Tornai ancora e insistette con l’antibiotico. Non dimenticherò mai quello che mi disse: “Il problema di sua figlia è lei, signora. Con la sua ansia la farà diventare autistica”. Arriviamo così a quell’11 settembre e al pianto disperato di Asya. Questa volta non riusciva a urinare. “Non è niente, disse il dottore, vedrà che con la Tachipirina le passa tutto”. Ma lei continuava a piangere e tornati a casa i parenti ci consigliarono di portarla d’urgenza al Santobono”.

Quale fu il responso dei medici?

“Una dottoressa le auscultò le spalle,

disse che sentiva qualcosa che non andava. Le fecero un’eco d’urgenza. Ricordo ancora la faccia di quel medico. Poi mi spiegarono. Io non volevo accettarlo, non capivo. Un’ambulanza trasferì la bimba al I Policlinico. Rimase sette giorni in rianimazione, non riusciva a respirare. È stata in cura per un anno, ma non ce l’ha fatta: il cancro era troppo avanzato. Mia figlia non c’è più, ma chi le ha fatto tanto male è giusto che paghi”.

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