L’apertura dell’anno giudiziario 2017 non pu richiamare un dj vu. Nell’ascoltare i procuratori porre l’attenzione sulle infiltrazioni mafiose, la corruzione e l’economia criminale, si ha infatti la sensazione di un’esperienza precedentemente vissuta. Vissuta lo scorso anno e quello precedente e quello ancora prima, indietro nel tempo. Ed allora vuol dire che qualcosa non quadra nella catena che dovrebbe garantire prevenzione e repressione.
Pi di qualcosa. A partire da quella cultura del “bene comune” , della “res publica” che, come ha sottolineato il procuratore generale di Milano Roberto Alfonso, deve essere inculcata nelle nuove generazioni. Ha usato proprio il verbo inculcare Alfonso, richiamando dunque la necessit di imprimere valori profondamente nell’animo altrui, con l’educazione o con l’esempio. Se dunque la base, il substrato dei principi e dei valori ha ancora bisogno di far presa sulla collettivit nel nome della quale si amministra la Giustizia, non ci si pu meravigliare se lo Stato sia costretto a riconcorrere anzich precedere le nuove forme di criminalit, per meglio combatterle.
E non ci si pu sorprendere se i ritardi con i quali il Legislatore e la classe politica di questo Paese combattono l’evoluzione dei sistemi criminali, si ripercuotano poi sulla povert, sulla frammentazione e sulla rarefazione degli strumenti messi a disposizione della Giustizia. Non solo carenza d’organico tra i ranghi della magistratura inquirente o giudicante ma anche tra le forze dell’ordine e di polizia giudiziaria. Tre ferite in una sola che si sommano a una carenza di formazione che, in alcune parti d’Italia, si fa particolarmente sentire.
Ecco che il dj vu torna e si manifesta dunque con gli stessi ritornelli, a partire dalla forza preponderante che hanno le mafie nell’inquinare tessuti sociali e trame economico finanziarie di ogni latitudine, nonostante ci sia chi si ostini ancora a presentare questa come una declinazione nuova, una verit inaspettata in alcune zone d’Italia. E invece no, sono decenni che le mafie hanno spostato il baricentro dei loro interessi sporchi nel nord Italia e fuori dai confini nazionali. E mentre questo avveniva e continua progressivamente ed incessantemente a succedere, la risposta dello Stato lenta e inadeguata. Solo pochi giorni fa la prefettura di Milano, in una lunga relazione consegnata alla Commissione parlamentare antimafia, ha sottolineato che perfino le white list delle imprese sono a rischio di infiltrazione mafiosa. Pochi controlli e poche risorse a disposizione sono il solito “condimento” a una situazione sempre pi complessa.
Bene ha fatto il procuratore generale di Torino, Arturo Soprano, a ricordare che oltre alle mafie (‘ndrangheta in primis) lo Stato si trova a lottare ad armi impari contro la corruzione che poi altro non se non l’altro lato della medaglia mafiosa. Ormai – dopo anni di negazione del problema – non c’ quasi pi alcun analista che non sottolinei come le mafie non penetrino pi (salvo eccezioni) con metodi violenti ma con sistemi di ampia corruttela nella pubblica amministrazione, che rendono ancora pi subdolo e complesso da colpire l’inquinamento delle regole, della concorrenza e del libero mercato.
E che lo Stato sia in affanno lo testimonia anche un passaggio della relazione di Marcello Viola, procuratore generale a Firenze, dopo una vita passata a Trapani e in Sicilia a combattere colpo su colpo la prepotenza di Cosa nostra. In Toscana, ha detto, bisogna essere rapidamente in grado di leggere i possibili nessi tra criminalit economica e criminalit organizzata, anche perch aumentano i reati fiscali, societari, fallimentari e di usura. Proprio ieri (si veda il Sole-24 Ore in edicola oggi) la Direzione investigativa antimafia (Dia) ha ricordato che alle mafie non basta pi capitalizzare i proventi illeciti in attivit imprenditoriali sempre pi remunerative: l’ennesima frontiera del business mafioso quella degli indebiti risparmi d’imposta. Ed allora – nella mente perversa del consorzio tra sistemi criminali – tutto si regge e ogni azione ha un filo logico per essere sempre un passo davanti allo Stato.
tempo che lo Stato – a fatti e provvedimenti, non a chiacchiere e parole – faccia quello scatto che faccia sperare che la sensazione di dj vu all’apertura di un anno giudiziario abbia vita corta.
r.galullo@ilsole24ore.com
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