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E’ cominciato a Torino il sogno americano di Raffaele: da cassiere del Lingotto a capo di Eataly in Usa

Gen 28, 2017



“Sono un ragazzo fortunato” dice Raffaele Piarulli. Lo dice con l’orgoglio di chi, in fondo, sa che se la sfortuna non dipende da noi, la fortuna un po’ bisogna cercarla. E meritarsela. Come ha fatto lui, torinese, ingegnere di 29 anni che da sette vive e lavora a New York dove è il responsabile “operations” di Eataly per gli Stati Uniti. La grande azienda del gusto made in Italy che proprio ieri ha festeggiato il decennale.

Piarulli, la aggiungiamo all’elenco dei “cervelli in fuga”?

“Ma mi faccia il piacere: non sono un cervello, all’università gli esami li dovevo dare anche due volte. Né sono in fuga dall’Italia: anzi mi piace moltissimo, sono qui a New York proprio per raccontarla”.

Molti suoi coetanei sognerebbero il suo posto. Come ci è arrivato? Ha studiato in Usa, ha fatto master prestigiosi?

“Sono laureato al Politecnico di Torino, ingegneria fisica per la precisione”.

E che ci fa un ingegnere specializzato in fisica a Eataly?

“Nel 2009 ero agli ultimi esami e volevo guadagnare qualcosa per Natale. Così sono andato a lavorare a Eataly: part time alle casse, assistenza clienti, gli allestimenti. Mi sono subito divertito, tanti giovani, bella atmosfera. Così ho continuato a lavorare lì”.

New York era ancora lontana, però…

“Qualche mese dopo Oscar Farinetti ha riunito i dipendenti di Eataly Torino e ci ha detto: “Apriamo a New York, questo è il progetto, chi ha voglia di darci una mano è il benvenuto””.

E lei è partito subito?

“Sono uscito dicendomi “Sarebbe bello andare due settimane a vedere come si fa”. L’ho detto al mio capo. Mi ha risposto: “Se hai voglia di seguire l’organizzazione delle casse, vai”. Sono partito”.

E l’inglese?

“Mia madre forse sentiva qual era il mio destino. Da quando avevo 11 anni me lo ha fatto studiare, mi ha mandato in Inghilterra. Un’altra fortuna”.

Era già stato a New York?

“No, prima volta. Ho conosciuto il team statunitense, il socio di Farinetti Alex Saper con cui lavoro da allora, Joe e Lidia Bastianich, i Batali. E tanti giovani italiani e americani. Un periodo fantastico, ma pensavo di tornare in Italia in due mesi”.

Invece?

“Eataly ha aperto martedì 31 agosto 2010. E ci è esploso in mano. Calcolavamo 35 milioni di dollari di fatturato il primo anno. Ne abbiamo fatti 70. Abbiamo dovuto raddoppiare tutto. È stato il mio master. Dovevo tornare a casa, ma Farinetti mi ha chiesto se potessi rimanere. Ho detto subito di sì. Ero felice. Mia mamma un po’ meno”.

Che ruolo aveva?

“All’inizio controllavo le casse, poi la gestione scaffali, poi tutto il mercato con Alex Saper. Abbiamo lavorato tanto, fatto errori. Si finiva alle 2 del mattino. Ho imparato tanto”.

E le hanno chiesto di aprire Eataly a Chicago.

“Sì, lì sono stato due anni poi a Boston. Adesso ci sarà Los Angeles “.

Ha un segreto?

“Qui ho imparato che, se uno vuole fare il manager, più che lavorare per un brand lavora per le persone. E con le persone. Quello fa la differenza”.

Differenze tra Usa e Italia?

“Oscar Farinetti dice che bisogna avere il fuoco nella pancia e il ghiaccio nel cervello. Noi italiani dovremmo

avere più ghiaccio nel cervello, loro più fuoco nella pancia, forse”.

Perché New York ama tanto Eataly e i prodotti italiani?

“Perché qui la gente ha voglia di esperienze nuove. Saperne di più. Noi con i prodotti vendiamo la storia, i paesaggi del’Italia. Uno stile di vita che qui è un sogno: per loro la Liguria è come per noi le Hawaii. E le Langhe sono una piccola California “.

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