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Foggia, la Curia caccia il prete pedofilo ma non lo denuncia: lui violenta altri 11 bambini

Feb 7, 2017

Avevano scoperto tutto. Eppure non l’hanno mai denunciato. Gli hanno fatto togliere l’abito talare per quei delicta cum minoribus, seppur per tutti era rimasto don Gianni. Eppure non hanno battuto ciglio quando ha cominciato ad allenare una squadra di calcio di ragazzini. “Non divulgare i motivi del suo allontanamento per evitare scandalo”, scriveva il 16 marzo del 2012 la Congregazione per la Dottrina della fede, l’ex Santo Uffizio, nel provvedimento di dimissione dello stato clericale.

Non parlava la Curia, non denunciava per “evitare scandalo”, dunque, mentre quello si prendeva la vita non di un bambino, non di due, ma di un’intera generazione di questo piccolo paese della provincia di Foggia. Un borgo che ha perso, forse per sempre, la sua adolescenza. La storia è quella di Gianni Trotta, poi don Gianni, infine Gianni e basta. Comunque un pedofilo, in ogni momento della sua vita. L’uomo oggi è in carcere, condannato a ottobre del 2015 a otto anni di reclusione per violenza sessuale aggravata nei confronti di un 11enne e di produzione di materiale pedopornografico. Con le stesse accuse per le quali è già stato condannato, Trotta torna in aula per reati commessi nei confronti di un’altra decina di bambini tra gli 11 e 12 anni.

Secondo la Procura di Bari li ha adescati, in alcuni casi ha abusato di loro e potrebbero non essere i soli, i casi sospetti sono una trentina. “Tutti bambini – ragiona il padre di uno di loro – che si sarebbero potuti salvare se soltanto la Chiesa avesse fatto quello che doveva: denunciare quel mostro”. Se Trotta è stato fermato, lo si deve soltanto alla determinazione di una giovane sostituta procuratrice di Bari, Simona Filoni, che un giorno vede sulla sua scrivania la denuncia di un genitore: “C’è un signore che ha chiesto a mia figlia di 11 anni, su Internet, le sue foto nuda”. Basta una piccola ricerca ed ecco Trotta, sul quale tra l’altro già indagavano altre due Procure.

L’uomo in quel momento allena una squadra di calcio del paese. Nel giro di pochi giorni scatta una perquisizione: è il 15 novembre del 2014. “La cosa più orribile che mi era mai capitata di vedere”, scuote ancora oggi la testa un investigatore. Filmati, dvd, foto, chat a ogni ora, soltanto con bambini. “Conservava tutto nel soppalco a casa della madre novantenne”. Gli investigatori ascoltano il primo bambino, poi il secondo, i racconti sono precisi, tremendi, “le foto delle bambine servivano per dimostrarci che non fosse gay”, in paese lo chiamano tutti “don Gianni”.

Trotta era un prete? “Non lo è più dal 2012”, si affretta a spiegare la Curia ndi Lucera, esibendo il documento della Congregazione per la dottrina della fede con il quale l’uomo era ridotto allo stato laicale, la più severa delle pene. In quel documento, in realtà, c’è però la prova che la Chiesa sapeva tutto da tempo. Le prime denunce all’ex Sant’Uffizio sono del 2009, tre anni dopo arriva la pena “in patrando delicta contra sextum Decalogi praeceptum cum minoribus”, cioè per “essere colpevole di delitti con minori contro il sesto precetto del decalogo” (“non commettere adulterio”). Trotta perde però soltanto l’abito.

Nessuno lo denuncia in Procura. E in più la Congregazione, all’epoca guidata dal cardinale Joseph Levada, impone al vescovo che “la nuova condizione di sacerdote dimesso non dia scandalo ai fedeli”. “Tuttavia – aggiunge – se sussiste il pericolo di abuso per i minori l’Ordinario può divulgare il fatto”. Silenzio, quindi. Seppur in caso di pericolo, si può raccontare quello che è successo. In pochi in paese sanno, in realtà, che Trotta non sia più un prete. “Al funerale del padre aveva il collarino ecclesiastico” raccontano oggi. “Frequentava la chiesa, ci aveva detto che era in attesa di una nuova destinazione”. Comincia così ad allenare la squadra giovanile. I ragazzini sono bombardati dalle sue avance eppure nessuno denuncia. Il 15 novembre la dirigenza della squadra lo allontana per “motivi etici”, senza avvisare la polizia che arriverà qualche giorno dopo su delega della pm Filoni. È a quel punto che si apre il vaso degli orrori.


a perché nessuno lo ha fermato? Perché gli è stato consentito di frequentare bambini nonostante i suoi precedenti? “Da un punto di vista del diritto canonico il provvedimento della Congregazione è inattaccabile: è stato inflitto il massimo della pena e la legge italiano non impone la denuncia” dicono i tecnici. Ma quella decina di bambini violati avrebbero potuto avere un futuro, se il vescovo dell’epoca, monsignor Domenico Cornacchia, lo avesse denunciato anche soltanto quando Trotta ha cominciato ad allenare,

come d’altronde imponeva la direttiva del Vaticano.

erché non lo ha fatto? “Ma io non sapevo nulla di Trotta – risponde ora Cornacchia – Non era un presbitero diocesano, avrebbero dovuto controllare il suo superiore generale e provinciale “. Monsignor Giuseppe Giuliano è il nuovo vescovo di Lucera. È arrivato da due giorni. Ha la voce provata: “Non sapevo nulla. Tremo a pensare a quei bambini – dice – È troppo tutto questo male”.

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