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Cosa dicono i virologi del primo caso italiano di vaiolo delle scimmie

Mag 19, 2022

AGI – Niente allarmi, ma alta soglia di attenzione. La parola d’ordine, tra i virologi, è di non alimentare paure ingiustificate, ma anche evitare di sottostimare una malattia, il vaiolo delle scimmie, poco diffusa, conosciuta da oltre 60 anni e che solo occasionalmente riguarda gli umani.

“Bambini e adulti nati dopo il 1981 sono più a rischio di contrarre il vaiolo delle scimmie” dice all’AGI l’immunologa dell’Università di Padova Antonella Viola “ma ancora il numero dei contagi è basso per creare allarmismo”. Il primo caso identificato allo Spallanzani di Roma è un uomo rientrato dalle Isole Canarie. Nei giorni scorsi, sono stati segnalati casi in Europa e negli Stati Uniti per un totale di 66 persone.

La possibilità di una mutazione

Come mai si sta registrando un aumento dei casi? “Perché i giovani non sono vaccinati contro il vaiolo e quindi l’immunità a livello di comunità è calata”, spiega Viola. “Inoltre, i viaggi frequenti favoriscono la circolazione del virus. Non possiamo escludere però che il virus sia mutato e che sia diventato più trasmissibile per gli uomini”, prosegue l’immunologa.

Il vaiolo delle scimmie è una malattia virale causata dal Poxvirus che colpisce prevalentemente questi e altri animali selvatici, solo talvolta passa all’uomo. Generalmente non è pericolosa, ma in alcuni casi il tasso di mortalità è significativo: per la famiglia dell’Africa occidentale è di circa l’1%, mentre per quella del bacino del Congo può arrivare fino al 10%.

Le infezioni avvengono prevalentemente per contatto incidentale con animali infetti o con persone che hanno soggiornato in zone a rischio; quindi, l’aumento di viaggi può essere una possibile causa dell’incremento. Il contagio avviene per contatto diretto con le lesioni, con i fluidi corporei, tramite goccioline e con gli indumenti contaminati. Il periodo di incubazione è generalmente compreso tra 5 e i 21 giorni.

I fattori di rischio conosciuti sono il contatto con animali attraverso la caccia e il consumo di selvaggina. Si tratta di un virus del tutto simile a quello del vaiolo umano e infatti, la vaccinazione contro il vaiolo umano protegge anche contro questo virus. Peccato che il vaccino contro il vaiolo non sia più obbligatorio da molto tempo.

Dopo l’Unita’ d’Italia, la vaccinazione antivaiolo fu resa obbligatoria per tutti i nuovi nati a partire dal 1888. L’obbligo è stato abolito in Italia nel 1981, dopo che nel maggio 1979 l’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS, ha decretato eradicato il vaiolo dalla Terra.

È possibile un ritorno dell’obbligo del vaccino contro il vaiolo? “È troppo presto per trarre conclusioni. – dichiara Viola – Finora il vaiolo delle scimmie non si è diffuso ampiamente negli esseri umani. Speriamo che anche questa volta i contagi si fermino a pochi casi”, conclude l’esperta.

Poco trasmissibile e molto meno grave del vaiolo

“Niente panico, ma uno studio vigile della situazione, tenendo presente che si tratta di una malattia non molto trasmissibile e anche molto meno grave del vaiolo” dice all’AGI il microbiologo Massimo Clementi, professore di microbiologia e virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano e direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dello stesso nosocomio.

“La particolarità questa volta è il fatto che sembrerebbero essersi infettati in un ambito occidentale persone che non hanno fatto passaggi in Paesi dove la malattia è endemica”, spiega Clementi. “Non ho informazioni sufficienti sull’entità e l’estensione del contagio, ma l’importante è diagnosticare i casi e tracciarli”, conclude.

Non c’è nessun allarme particolare

“Abbiamo pochi casi distribuiti attualmente in tutto il mondo, giusto ci sia attenzione, corretto vigilare, ma non c’è nessun allarme particolare. È una malattia conosciuta e l’unica differenza può essere, rispetto al passato, che alcuni dei casi di questi giorni non hanno un chiaro legame epidemiologico con viaggi in Paesi dove la patologia è endemica” dice all’AGI il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri. “La raccomandazione – dice – è quella di rivolgersi al medico di fiducia nel caso in cui si avvertano i sintomi specifici di questa malattia, e in particolare la comparsa sulla pelle di vescicole tondeggianti, specie se accompagnate da dolori muscolari, febbre o cefalea”.

Non è una malattia che si prende al bar o al ristorante

“Non è una malattia nuova e chi la presenta così racconta una bufala clamorosa: è endemica in Congo, abbiamo avuto un cluster nel 2003 negli Stati Uniti e in Sudamerica ci sono stati diversi casi negli anni scorsi” spiega all’AGI il microbiologo Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Microbiologia molecolare all’Università di Padova, in relazione ai casi di vaiolo delle scimmie scoperti in Europa. “Ci si infetta se si va in contatto con i fluidi corporei di persone infette, ma ha bassa trasmissibilità nell’uomo”, aggiunge.

Non è dunque la malattia che si prende al bar o al ristorante. “Ci sono stati casi secondari in Europa – ricorda -, sicuramente animali come i roditori e gli scoiattoli sono via di trasmissione”. Inoltre, dice Crisanti, “esistono farmaci per trattarla e un vaccino”. “L’unica cosa anomala al momento è l’elevato numero di casi Inghilterra e in Spagna”, conclude.

L’allarme è alto, dice all’AGI Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza e docente di Igiene all’università Cattolica di Roma. “La situazione va monitorata – dice Ricciardi – È presto per trarre conclusioni, ma l’allarme è alto“.

Nulla a che vedere con il Covid

“Nessuna psicosi, ma anzi valutare un effetto positivo che probabilmente deriva anche dall’esperienza Covid: la capacità dei ricercatori di condividere velocemente informazioni, un po’ come è accaduto con le epatiti pediatriche” spiega il virologo Fabrizio Pregliasco, Direttore Sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. Il vaiolo delle scimmie “è una malattia diversa dal Coronavirus, è meno contagioso. Certo bisognerà vigilare. È importante la comunicazione, perché il fatto va raccontato per segnalare il problema, ma con una relativa serenità – dice Pregliasco – Importante sarà mantenere un approccio che tenga conto delle malattie a livello veterinario che possono però passare all’uomo tramite salto di specie”.

Cosa dice l’Oms

L’Oms, finita al centro di una bufera per aver atteso a lungo prima di dichiarare quella di coronavirus una pandemia e adottare le misure di conseguenza “continua a monitorare da vicino la situazione, che è in rapida evoluzione”.

In un documento pubblicato sul suo portale sull’epidemia di vaiolo delle scimmie, per la quale, comunque, “non raccomanda alcuna restrizione per i viaggi e gli scambi commerciali con il Regno Unito sulla base delle informazioni disponibili in questo momento”. È ancora mistero sull’animale da cui il virus è passato all’uomo in Gran Bretagna: “Nel Regno Unito – scrive l’Oms – sono stati segnalati otto casi precedenti di vaiolo delle scimmie: tutti erano legati a una storia di viaggio da o verso la Nigeria. Nel 2021 ci sono stati anche due casi distinti di vaiolo delle scimmie importati dalla Nigeria segnalati dagli Stati Uniti. Durante un’epidemia di vaiolo delle scimmie negli esseri umani nel 2003 negli Stati Uniti d’America, l’esposizione è stata rintracciata al contatto con cani della prateria domestici che erano stati ospitati insieme a piccoli mammiferi infetti dal virus del vaiolo delle scimmie importati dal Ghana”.

In questa fase, sottolinea l’Oms, “qualsiasi malattia durante il viaggio o al ritorno da un’area endemica deve essere segnalata a un operatore sanitario, comprese le informazioni su tutti i viaggi recenti e la storia delle vaccinazioni. I residenti e i viaggiatori in Paesi endemici dovrebbero evitare il contatto con animali malati (morti o vivi) che potrebbero ospitare il virus del vaiolo delle scimmie (roditori, marsupiali, primati) e dovrebbero astenersi dal mangiare o maneggiare selvaggina. Va sottolineata l’importanza dell’igiene delle mani utilizzando acqua e sapone o disinfettanti a base di alcol”.

Un invito a non alimentare allarmismi arriva dall’epidemiologo Pier Luigi Lopalco. “Prima che si alzi un nuovo polverone mediatico e si dia il via ai puntuali commenti discriminatori e complottisti, cerchiamo di capire di cosa si tratta”, afferma. In particolare, a oggi, come spiega lo studioso pugliese, sono stati segnalati casi in Inghilterra, Spagna e Portogallo, mentre “un caso è stato anche riportato negli Stati Uniti (Massachusetts) in una persona che aveva viaggiato in Canada”. Lopalco precisa: “Il primo caso segnalato in Inghilterra si riferiva a un viaggiatore di ritorno dalla Nigeria. La maggior parte di questi casi non sono apparentemente connessi fra loro, ma per alcuni è evidente la trasmissione diretta per contatto persona-persona. Il virus monkeypox (MPV) è un virus ‘cugino’ del ben più famoso virus del vaiolo umano (smallpox). Dico cugino perché’ probabilmente entrambi condividono un antenato comune che potrebbe essere il virus del vaiolo bovino. Infatti, il vaccino contro il vaiolo, costituito proprio con il ceppo bovino, è efficace anche contro le forme di MPV”.

“Quest’ultimo fu identificato per la prima volta nel 1958 in Danimarca – spiega ancora Lopalco – in un gruppo di scimmie che arrivavano da Singapore. L’anno dopo un focolaio epidemico simile fu segnalato a Philadelphia. Nel 1964 nello zoo di Rotterdam diversi animali, scimmie e roditori, si ammalarono di vaiolo e alcuni esemplari morirono. Sembra che il virus fosse arrivato nello zoo per via di un formichiere importato dal Sud America. Un’altra epidemia nel 2003 negli Stati Uniti fu causata da roditori importati dal Ghana che infettarono roditori locali (cani della prateria) i quali a loro volta causarono ben 47 casi nell’uomo”.

Dopo queste premesse, Pier Luigi Lopalco rassicura: “L’uomo si infetta raramente con il MPV. I casi umani riportati fino ad oggi si riferiscono principalmente a infezioni accidentali in laboratori o allevamenti che ospitano animali infetti o in viaggiatori che hanno soggiornato in zone endemiche dell’Africa sub-sahariana, in particolare Nigeria e Repubblica Democratica del Congo. Il virus si trasmette da uomo a uomo con difficoltà. Il contagio può avvenire per contatto diretto con le lesioni cutanee, con fluidi corporei ma anche con indumenti o biancheria contaminata. Nella fase acuta potrebbe anche trasmettersi attraverso droplet e pertanto sarebbe necessario un prolungato contatto faccia a faccia. Per questo motivo, ogni segnalazione nell’uomo si è riferita sempre a piccoli focolai auto-limitanti”.

I sintomi

Citando, quale fonte scientifica, i “Centers for disease control and prevention” (Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie), Pier Luigi Lopalco, descrive la sintomatologia. Dopo un periodo iniziale caratterizzato da sintomi simil-influenzali, la malattia si manifesta con eruzioni cutanee del tutto simili a quelle del vaiolo: vescicole che si trasformano in pustole e poi si seccano dando luogo ad una crosticina, talvolta lasciando anche una piccola cicatrice. La malattia dura fra le 2 e le 4 settimane. Nel corso delle più estese epidemie registrate in Africa (parliamo degli anni ’80) la letalità ha raggiunto il 10% dei casi sintomatici. “La vaccinazione contro il vaiolo che quelli della mia eta’ hanno fatto da bambini – sostiene Lopalco – non e’ efficace nel prevenire la malattia. Dal 1980, da quando cioè il vaiolo umano è stato definitivamente eradicato, il vaccino contro il vaiolo non si usa più su larga scala. È oggi ancora disponibile un vaccino contro il vaiolo (in Europa si chiama Imvanex). Il motivo per cui si produce ancora, nonostante il vaiolo sia stato eradicato, è legato a un suo possibile utilizzo in ‘circostanze eccezionali’. Non ci vuole molta fantasia a pensare che ci si riferisca ad ipotetici atti di bioterrorismo e simili. Questo vaccino, però, si è dimostrato efficace anche contro il MPV, per cui è indicato per coloro che possono essere esposti al virus per motivi professionali. Spero che questa informazione – prosegue l’epidemiologo – possa essere utile a evitare di dire scemenze sull’immigrazione dai Paesi africani, di chiamare in preda al panico il proprio medico perché ci è spuntato un foruncolo, di ipotizzare alcun legame né col Covid-19, né con i vaccini. Importante invece che chi abbia avuto comportamenti a rischio nelle ultime settimane, soprattutto in occasione di viaggi all’estero, stia attento ai primi segni della malattia e quindi eviti di contagiare le persone a lui vicine”.

“Niente panico, perché questo è un virus che, a differenza del Covid-19, si trasmette in maniera più difficile. Ma attenzione e capacià di sfruttare quanto abbiamo imparato negli ultimi due anni in tema di igiene pubblica e condivisione delle informazioni” dice all’AGI l’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, in relazione ai contagi da vaiolo delle scimmie in Europa e alla possibilità di una nuova epidemia. “Oggi c’è molta attenzione sul tema delle malattie infettive ed è un bene, perché uccidono come tumori e infarti – spiega – Ma ci sono sempre state e l’uomo convive con i microbi con alcuni mezzi, il più importante è il vaccino, riuscendo a vivere normalmente”.

“È giusto vigilare e informare la popolazione – aggiunge Bassetti – Questo è un virus che colpiva solo uomini in contatto con le scimmie, ma oggi sembra diffondersi in alcune comunità specifiche e questo è legato, probabilmente, alla modalità di trasmissione e al contatto ravvicinato e prolungato. Bisogna vigilare, perché diffondendosi potrebbe mutare e diventare più contagioso”.

Partiamo però in vantaggio, rispetto alla guerra al Covid-19. Esiste i fatti un vaccino. “Noi abbiamo smesso di vaccinare per il Vaiolo da anni, bisogna vedere se il prodotto è in grado di coprire queste varianti, io penso di sì comunque”, dice l’infettivologo che conclude parlando di Covid. “L’ultimo morto per il virus, nel mio reparto, risale a 5 mesi fa”, spiega. Questa battaglia la stiamo vincendo, speriamo di non farci trovare mai più impreparati. 

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