• 26 Novembre 2024 11:31

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Nuovo crac per Berrettini (e nubi nere sul futuro)

Mar 3, 2023

AGI – E se fosse colpa della temperatura del “bulbo umido”? Potrebbe essere una spiegazione del fatto che Matteo Berrettini ad Acapulco si era già ritirato l’anno scorso, nella partita d’esordio contro Tommy Paul. Quello che causò il ritiro fu il primo di una lunga serie di infortuni che nel 2022 ha segnato il cammino dell’azzurro. Colpisce che anche quest’anno Matteo abbia alzato bandiera bianca per infortunio (al polpaccio destro) nello stesso luogo. Tra l’altro alla terza partita di torneo dopo un’inattività agonistica di oltre quaranta giorni, durante i quali l’azzurro ha lavorato duramente sul piano fisico.

La temperatura del bulbo umido altro non è che un indicatore delle condizioni ambientali all’interno delle quali si compie attività fisica: in sostanza quando il sudore emesso dal corpo non riesce ad evaporare, una situazione non ottimale e che può diventare problematica per molti atleti. Ad Acapulco fa molto caldo e c’è un alto tasso di umidità, fatto questo che potrebbe mal combinarsi con il fisico di Matteo: grosso, potente ma con molte criticità. Tra l’altro ieri il match di Matteo contro Rune (anche se il romano era già praticamente fermo da inizio match) è stato sospeso per circa 40 minuti causa pioggia.

Nell’intervallo l’azzurro è stato visitato dal fisioterapista e al rientro ha giocato, si fa per dire, un solo game. Fatto questo che ha provocato i fragorosi fischi degli spettatori i quali hanno interpretato il ritiro come uno sgarbo dell’italiano, ignari che i sanitari l’avesse visitato negli spogliatoi durante l’interruzione. Ma, globo umido a parte, le domande s’impongono: Matteo si fa male di continuo.

Perché? E soprattutto: è destinato a ripercorrere nel tennis la via crucis che fu, per citare un esempio clamoroso ma in ambito calcistico quella di Ronaldo il Fenomeno? Che fu abbattuto dagli infortuni (nel suo caso i legamenti del ginocchio) e per questo ottenne in carriera tutto sommato meno di quanto la sua assoluta superiorità gli avrebbe permesso? Di grandi infortunati la storia dello sport è piena: da Marco Van Basten a Klay Thompson (due anni di assenza dalla Nba); da Kevin Durant a Paul Pogba,fino a Debora Compagnoni: il cui urlo di dolore durante i Giochi di Albertville ’92 fu in qualche modo sovrapposto allo sguardo perso nel vuoto di Matteo quando questi s’ infortuno’ durante la Finals di Torino.

Ma la raffica di infortuni di cui Matteo è vittima suggerisce che il suo fisico, a quasi 27 anni, stia lanciando segnali preoccupanti. Peggiorati dalla condizione psicologica: chi, come Matteo l’anno scorso, ha trascorso più tempo in riabilitazione che non giocando tornei, tende a essere sempre più contratto e dunque e favorirli, gli infortuni; e a correre pure il rischio di ingigantire ogni segnale di allarme che il fisico trasmette. Ma la storia “clinica” dell’italiano è effettivamente preoccupante.

Escludendo che lo staff di Matteo non abbia compiuto tutti i passi per rendere il suo fisico (dall’alimentazione alla postura, dal potenziamento all’elasticità fino al lavoro psicologico) in grado di reggere 45 settimane di tennis l’anno, è possibile che quel fisico abbia limiti che lo portano, più passa il tempo, a infortunarsi spesso. E non va dimenticato che quel fisico, come ha raccontato il suo coach Vincenzo Santopadre, è frutto di una progressiva costruzione visto che, da ragazzo, Matteo non era certo un colosso.

La struttura che gli ha permesso di arrivare a disputare la finale di Wimbledon poggia su gambe lunghe (non per nulla ad inizio carriera erano le caviglie il suo punto debole) che devono reggere il peso di un busto possente: una situazione complessiva “perfetta” per diventare sede di vari guai. Un fisico, quello di Matteo, diametralmente opposto a quello di Djokovic che invece ha muscolatura meno grossa e più elastica: e che gli ha permesso, come raccontato dal boss di Tennis Australia Craig Tiley, di vincere a Melbourne con una lesione di tre centimetri alla coscia.

Esiste un modo per Berrettini di continuare a essere un top player senza farsi continuamente male? Questa è la domanda e la risposta potrebbe anche non essere piacevole. Intanto, nelle prossime ore deciderà, in base all’esito degli esami, se confermare o annullare la sua partecipazione a Indian Wells e forse a Miami, Dove però troverebbe una temperatura del globo umido che gli è avversa. 

AGI – E se fosse colpa della temperatura del “bulbo umido”? Potrebbe essere una spiegazione del fatto che Matteo Berrettini ad Acapulco si era già ritirato l’anno scorso, nella partita d’esordio contro Tommy Paul. Quello che causò il ritiro fu il primo di una lunga serie di infortuni che nel 2022 ha segnato il cammino dell’azzurro. Colpisce che anche quest’anno Matteo abbia alzato bandiera bianca per infortunio (al polpaccio destro) nello stesso luogo. Tra l’altro alla terza partita di torneo dopo un’inattività agonistica di oltre quaranta giorni, durante i quali l’azzurro ha lavorato duramente sul piano fisico.
La temperatura del bulbo umido altro non è che un indicatore delle condizioni ambientali all’interno delle quali si compie attività fisica: in sostanza quando il sudore emesso dal corpo non riesce ad evaporare, una situazione non ottimale e che può diventare problematica per molti atleti. Ad Acapulco fa molto caldo e c’è un alto tasso di umidità, fatto questo che potrebbe mal combinarsi con il fisico di Matteo: grosso, potente ma con molte criticità. Tra l’altro ieri il match di Matteo contro Rune (anche se il romano era già praticamente fermo da inizio match) è stato sospeso per circa 40 minuti causa pioggia.
Nell’intervallo l’azzurro è stato visitato dal fisioterapista e al rientro ha giocato, si fa per dire, un solo game. Fatto questo che ha provocato i fragorosi fischi degli spettatori i quali hanno interpretato il ritiro come uno sgarbo dell’italiano, ignari che i sanitari l’avesse visitato negli spogliatoi durante l’interruzione. Ma, globo umido a parte, le domande s’impongono: Matteo si fa male di continuo.
Perché? E soprattutto: è destinato a ripercorrere nel tennis la via crucis che fu, per citare un esempio clamoroso ma in ambito calcistico quella di Ronaldo il Fenomeno? Che fu abbattuto dagli infortuni (nel suo caso i legamenti del ginocchio) e per questo ottenne in carriera tutto sommato meno di quanto la sua assoluta superiorità gli avrebbe permesso? Di grandi infortunati la storia dello sport è piena: da Marco Van Basten a Klay Thompson (due anni di assenza dalla Nba); da Kevin Durant a Paul Pogba,fino a Debora Compagnoni: il cui urlo di dolore durante i Giochi di Albertville ’92 fu in qualche modo sovrapposto allo sguardo perso nel vuoto di Matteo quando questi s’ infortuno’ durante la Finals di Torino.
Ma la raffica di infortuni di cui Matteo è vittima suggerisce che il suo fisico, a quasi 27 anni, stia lanciando segnali preoccupanti. Peggiorati dalla condizione psicologica: chi, come Matteo l’anno scorso, ha trascorso più tempo in riabilitazione che non giocando tornei, tende a essere sempre più contratto e dunque e favorirli, gli infortuni; e a correre pure il rischio di ingigantire ogni segnale di allarme che il fisico trasmette. Ma la storia “clinica” dell’italiano è effettivamente preoccupante.
Escludendo che lo staff di Matteo non abbia compiuto tutti i passi per rendere il suo fisico (dall’alimentazione alla postura, dal potenziamento all’elasticità fino al lavoro psicologico) in grado di reggere 45 settimane di tennis l’anno, è possibile che quel fisico abbia limiti che lo portano, più passa il tempo, a infortunarsi spesso. E non va dimenticato che quel fisico, come ha raccontato il suo coach Vincenzo Santopadre, è frutto di una progressiva costruzione visto che, da ragazzo, Matteo non era certo un colosso.
La struttura che gli ha permesso di arrivare a disputare la finale di Wimbledon poggia su gambe lunghe (non per nulla ad inizio carriera erano le caviglie il suo punto debole) che devono reggere il peso di un busto possente: una situazione complessiva “perfetta” per diventare sede di vari guai. Un fisico, quello di Matteo, diametralmente opposto a quello di Djokovic che invece ha muscolatura meno grossa e più elastica: e che gli ha permesso, come raccontato dal boss di Tennis Australia Craig Tiley, di vincere a Melbourne con una lesione di tre centimetri alla coscia.
Esiste un modo per Berrettini di continuare a essere un top player senza farsi continuamente male? Questa è la domanda e la risposta potrebbe anche non essere piacevole. Intanto, nelle prossime ore deciderà, in base all’esito degli esami, se confermare o annullare la sua partecipazione a Indian Wells e forse a Miami, Dove però troverebbe una temperatura del globo umido che gli è avversa. 

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