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Un anno di guerra nelle parole di Yuriy, volontario Sant’Egidio in Ucraina

Feb 17, 2023

AGI – “Gli aiuti sono diminuiti molto: restano quelli dei canali ufficiali, non c’è più la stessa spinta che sentivamo all’inizio. Ma la gente qui continua a morire ogni giorno. Siamo stanchi, ma sentiamo una forte responsabilità”. Yuriy Lifanse è coordinatore della comunità di Sant’Egidio a Kiev. Il 21 febbraio dello scorso anno si è sposato: tre giorni dopo, nel Paese in cui questo quarantenne si stava costruendo il proprio futuro, scoppia la guerra.

“Ho appena riguardato le foto di quei momenti felici – racconta raggiunto al telefono dall’AGI – Il 23 sera eravamo andati a festeggiare con la comunità e con i miei amici senza fissa dimora, nel centro di Kiev. C’era tensione in quei giorni in città: era piena di giornalisti, mentre i politici erano pochi, se ne erano già andati. Le ambasciate erano state evacuate. Quella mattina mia sorella, che vive a nord di Kiev, mi aveva chiamato: era spaventata perché l’aereo militare volava a livello del suo balcone”.

Il 24 febbraio iniziano i bombardamenti: “Credevo fosse una singola offensiva – racconta – Non immaginavo che l’attacco si estendesse a tutta l’Ucraina”. Yuriy è combattivo, ma amareggiato: “Pensavo che una cosa del genere non sarebbe mai passata in secondo piano, che non sarebbe stata accettata con il passare del tempo. Invece non siamo più in prima pagina, ma i morti sono decine di migliaia”.

Il volontario racconta che “le aree più colpite sono Kharkiv, Zaporizhzhia, posti dove arriva o è già arrivata l’artiglieria: lì prima ci sono le esplosioni, poi arrivano gli allarmi”. La gente, ripete il volontario di Sant’Egidio, muore ogni giorno: “Gli aiuti ora passano solo a livello ufficiale e sono molto diminuiti. La comunità continua a lavorare, anche grazie agli amici che da 30 anni ci sostengono – spiega – riusciamo a far arrivare i nostri carichi fino al fronte, fino agli ospedali e ai villaggi più sperduti”.

“Ogni mese smistiamo 10 mila pacchi nei nostri centri a Kiev, Leopoli e Ivano-Frankivsk. In questo anno – racconta -, ho trovato tanti nuovi amici: ci sono quelli che definisco i più “matti” perché riescono ad arrivare alle zone più devastate. Lo hanno fatto persino nel primo giorno di occupazione: uno dei miei amici ha salvato 7 persone, rischiando la sua vita. Una volta invece è partita una carovana di 7 pulmini di aiuti, sono tornati in 3. Gli altri – dice con la voce spezzata dall’emozione – sono stati bombardati”.

Tra questi nuovi amici, c’è anche Andrij: “Si trova a Kramatorsk ed è responsabile della sanità in quello che oggi è il centro amministrativo della zona di Donec’k. È un uomo che risponde al telefono sempre: riceve aiuti e li distribuisce. Ho paura quando sento che quella città viene bombardata: la sua risposta dall’altro capo del telefono l’aspetto sempre con grande apprensione. Andrij non ha più di 40 anni”. 

A preoccupare Yuriy anche i tanti bimbi che vivono ancora in Ucraina: “A Bakhmut, da giorni sotto l’assedio russo, vivono più di 500 bambini e sono in pena per loro – racconta – Ora le notizie da lì non arrivano più e il rischio è troppo alto per portare aiuti, quindi hanno chiuso tutti i canali. Spero che questo blocco finisca presto, così da riportare soccorso anche lì”.

Aiuti che si traducono, per la sola comunità di Sant’Egidio, in 100 tonnellate di generi alimentari ogni mese: “Utilizziamo dei corrieri professionisti che portano i carichi fin dove possibile. Una volta, vicino Kramatorsk, volevamo mandare un carico all’ospedale, ma non avevano un pulmino. Quindi, abbiamo chiamato il Municipio, ma non lo avevano neanche lì. Alla fine abbiamo chiamato i pompieri e così siamo riusciti a spedire aiuti al Municipio, all’ospedale e ai vigili del fuoco stessi. Quel che è certo – sottolinea ostinato – troviamo sempre nuove vie per aiutare”.

Chi lo conosce dice che l’instancabile Yuriy in questo anno è invecchiato di dieci anni, senza però mai perdere il sorriso e la forza d’animo: “La stanchezza c’è – spiega lui – Ieri ad esempio è suonato l’allarme anti aereo alle 4 di mattina, e non ho più dormito. Ma so che c’è tanto lavoro da fare e tanta responsabilità su di noi. Dobbiamo aiutare gli indifesi e anche i tanti davvero stanchi che, dopo 12 mesi, stanno ancora combattendo per difendere la nostra vita”. 

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