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Tiziana Cantone e il diritto all’oblio, l’esperto: «Ecco perché sparire dal Web è impossibile» – Il Messaggero

Set 14, 2016
Il Web, in alcuni casi, può fare paura. A sentire la tragica storia di Tiziana Cantone, suicida per vergogna, o quella della 17enne di Rimini violentata ed esposta al pubblico ludibrio su Facebook dalle “amiche” che l’hanno filmata (sempre che si possano definire tali) viene da pensare che la Rete sia un mostro che divora ogni cosa, dignità compresa. Eppure non è così. Perché Internet è un mondo pieno di opportunità, che non va demonizzato, ma in cui però bisogna muoversi con cautela e consapevolezza.

Ne è convinto l’avvocato Andrea Lisi, segretario generale di Anorc (Associazione nazionale per operatori e responsabili della conservazione digitale): «Lo strumento più efficace di difesa è l’autotutela. Perché oggi tutti, anche i bambini, hanno lo smartphone, e il compito dei genitori e della scuola è quello di spiegare loro come utilizzarlo in modo consapevole. Per i ragazzi è normale acquisire foto e filmati e condividerli. Lo fanno spesso senza rendersi conto del pericolo potenziale a cui vanno incontro». Il senso di ribellione e trasgressione dell’adolescenza poi spesso fa il resto, come dimostra il caso di Rimini.

La legge. Nonostante la confusione riguardo alla disciplina della Rete, una legge che tutela questi casi esiste. È il cosiddetto diritto all’oblio, che prevede che gli utenti possano cancellare i dati e i link che li riguardano dal Web e che siano ritenuti “inadeguati e non più rilevanti” ai fini della cronaca, e che è sancito dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 13 maggio 2014.

Eppure alcuni video che mostrano dei fotogrammi di quel maledetto filmato hard che ha spinto Tiziana Cantone prima a cambiare identità e infine a togliersi la vita, sono tuttora presenti online, su YouTube in primis. Questo perché il processo di rimozione dei contenuti non è sempre semplice.

«Dipende dal tipo di contenuti – spiega Lisi – se si tratta di materiale lesivo per la privacy, come un filmato sessualmente esplicito, la prima cosa da fare è segnalarlo alla piattaforma, o utilizzando i sistemi interni al sito stesso (ad esempio, cliccando sulla “bandierina” sotto i video di YouTube, ndr), oppure inviando una lettera, tramite posta certificata o per mezzo di un avvocato, in cui si chiede la rimozione entro dei termini stabiliti. Di solito, se la violazione nel contenuto in questione è particolarmente evidente, come nel caso di Tiziana Cantone, solitamente la rimozione avviene in tempi molto brevi. Giorni, se non ore. Nel caso in cui non si ottenga risposta, oppure la piattaforma si rifiuti, ci si può rivolgere al Garante della privacy oppure a un giudice».

Il caso. Su YouTube è inoltre necessario richiedere la cancellazione di ogni singolo video, non di tutti i contenuti associati a un nome o a un argomento. Ed è questa la ragione per cui, se il video pornografico di Tiziana è sparito dalla Rete (sempre che non si possa ancora rintracciare su qualche sito a luci rosse), d’altra parte ancora oggi molti filmati citano, direttamente o indirettamente, la ragazza napoletana. Insomma, il vero pericolo è la “viralità” di quei contenuti, perché è quella che rende impossibile bloccarne la diffusione, nonostante la collaborazione di siti e social network. Facebook ad esempio, attraverso un portavoce, ha fatto sapere che «Siamo addolorati per questa tragedia e i nostri pensieri sono con la famiglia. Ci preme sottolineare come i video non siano mai stati postati sulla nostra piattaforma e abbiamo bloccato l’accesso ai contenuti che ci sono stati notificati dalle autorità italiane in relazione a questo caso».

«Quando il mondo era “analogico”, era diverso – ricorda Lisi – bloccare la diffusione di certo materiale era molto più facile. Ma comunque quello di Tiziana Cantone non è il primo caso. A Perugia, diversi anni fa, una ragazzina ancora minorenne fu costretta a cambiare identità dopo che un filmato che la mostrava fare sesso con il fidanzato finì su siti pornografici, e forse circola tuttora. E dire che non c’erano ancora i social network: in quel caso bastò il nascente fenomeno del peer-to-peer. Il digitale favorisce la perdita del possesso. E quello che viene condiviso online diventa a tutti gli effetti di dominio pubblico».

andrea.andrei@ilmessaggero.it

Twitter: andreaandrei_

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