Con l’apertura a Milano, Starbucks si prepara a chiudere un cerchio aperto 34 anni fa, quando Howard Schultz, numero uno della catena americana di caffetterie, assaggiò il suo primo espresso davanti al Duomo. Per l’annuncio ufficiale, che dovrebbe arrivare tra fine ottobre e inizio novembre, mancano solo le firme: il gruppo Percassi deve chiudere l’intesa con il Blackstone per l’ex palazzo delle Poste in piazza Cordusio, poi lo sbarco di Starbucks sarà cosa fatta.
Il palazzo delle Poste
E per l’occasione nel capoluogo lombardo tornerà anche il manager americano entusiasta di iniziare la nuova avventura: “Non abbiamo l’ambizione di insegnare agli italiani come si fa il caffè, ma vogliamo mostrarvi quello che abbiamo imparato”. I battenti del nuovo negozio dovrebbero aprire a settembre dell’anno prossimo, ma già da gennaio sono attese attività di promozione per sensibilizzare i milanesi e alimentare le attese.
Nel frattempo, per preparare il terreno, a luglio, gli americani hanno stretto una partnership esclusiva con le panetterie Princi: un accordo che trasformerà la bottega aperta nel 1986 nel fornitore esclusivo delle nuove Starbucks Reserve Roastery e Tasting Rooms di Shanghai e New York. Un modello di lusso che ha l’ambizione di far rivivere le storiche torrefazioni in chiave contemporanea: a Seattle, dove ha aperto la capofila delle Roastery, ci sono anche una biblioteca e uno spazio per rilassarsi.
L’interno del palazzo delle Poste alla fine della ristrutturazione (rendering)
Ed
è proprio questo modello che Schultz ha in mente per il negozio di Milano con l’obiettivo di fare delle torrefazioni il biglietto da visita del marchio nel mondo. Anche perché mentre l’Asia cresce a un ritmo forsennato, il caffè americano non è mai decollato in Europa: i ricavi del Vecchio continente valgono appena 1,9 miliardi di dollari, il 10% del totale. E un successo a Milano sarebbe fondamentale per consolidare la forza e l’immagine del marchio.