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S&P, alert sull’Italia: “Rischio Grecia se farà una manovra senza coperture”

Lug 26, 2019

MILANO – Dura riflessione dell’agenzia di rating Standard & Poor’s sull’Italia. Nel rapporto che gli specialisti dedicano all’Eurozona e al merito di credito dei Paesi dell’area con la moneta unica, trova spazio un capitolo dedicato al Belpaese e alle sue difficoltà economiche, aggravate da un disegno politico che non offre – agli occhi di S&P – spunti positivi.

L’agenzia intitola l’approfondimento sull’Italia ricordando che è “l’unico Paese sovrano dell’Eurozona con outlook negativo”. E ripercorre le ragioni di questa scomoda situazione. “Dopo aver vinto le elezioni parlamentari del marzo 2018, l’attuale coalizione di governo ha velocemente congelato le modeste iniziative di riforma e ha iniziato a contrastare la Commissione Europea nel suo mandato di vigilare sull’osservanza da parte degli Stati membri della regolamentazione fiscale dell’Unione”, dice S&P.

E comincia subito un parallelo con quanto avvenuto ad Atene nel giugno 2015. “Una controversia aperta tra il governo di un paese e le istituzioni europee ha in genere effetti di secondo piano sul settore privato dell’economia, comprese le basi di finanziamento del sistema bancario di un paese. Questo è stato il caso della Grecia, un’economia molto più piccola (meno del 2% del PIL della zona Euro) nel giugno 2015. La questione è se sarà lo stesso anche per un’economia molto più grande come l’Italia, che rappresenta il 15% del PIL dell’Eurozona”, dicono gli analisti.

Essendo parte dell’euro, è il discorso di S&P, l’Italia non può svalutare la sua moneta per ridurre il peso reale del suo debito sul Prodotto interno lordo. Ecco perché la via maestra per alleggerirne il peso è puntare sulla crescita, cercando di far meglio dei Paesi fuori dalla moneta unica. “Purtroppo dal 2010 l’economia italiana è cresciuta solo dello 0,6% in termini reali contro il 10,6% per l’intera area Euro”, ricorda S&P. “La crescita debole e l’incapacità dei policymaker di affrontarla spiegano le prospettive negative per il rating sovrano italiano”.

Le ragioni di questo ritardo nella crescita sono ricercate in più ambiti. “In primo luogo, i prestiti bancari hanno subito un forte rallentamento a partire dal 2010. In secondo luogo, la propensione del settore privato italiano al risparmio piuttosto che all’investimento è diventata ancora più marcata. Anche se l’economia italiana è molto più ricca di quella greca, le rigidità che caratterizzano il mercato del lavoro e il tessuto produttivo sono simili e frenano l’ingresso di nuovi attori e gli investimenti, con un impatto negativo sulla crescita”.

Per i prossimi anni, S&P prevede “un lento aumento del debito pubblico italiano, accompagnato da un’ulteriore riduzione della leva finanziaria nel settore privato”. Il 2019 è previsto in stagnazione e per l’anno prossimo si indica una crescita dello 0,6%. Numeri che non aprono a una possibile crisi sui titoli di Stato. A meno che il governo non decida di far saltare il banco, aprendo a prospettive ben note ad Atene. “In uno scenario alternativo in cui i policymaker perseguano soluzioni non ortodosse – come l’introduzione di una valuta parallela o di misure di bilancio senza copertura finanziaria, per eludere i vincoli fiscali stabiliti dai trattati UE – l’adesione dell’Italia all’area Euro potrebbe essere messa in discussione. In extremis, potrebbe verificarsi una nuova crisi di fiducia come quella avvenuta in Grecia nel giugno 2015, ma in un paese membro dell’Unione Europea molto più grande e con maggiore rilevanza sistemica”.

Che, d’altra parte, la difficile formazione del governo di Lega e M5s e i dissidi con l’Europa abbiano già rappresentato un costo per lo Stato, è messo nero su bianco nello stesso rapporto del Tesoro sul debito pubblico. Dal quale emerge che il costo medio ponderato dei titoli di Stato nuova emissione è aumentato sensibilmente nel 2018, portandosi all’1,07% dal precedente 0,68%. Nel Rapporto sulla gestione del debito pubblicato curato dal Dipartimento del Tesoro si dice che “la difficoltà nella formazione di un governo, le indiscrezioni – poi smentite – su una bozza di programma politico ed economico che si ponesse in totale discontinuità con le politiche di bilancio condotte dai governi precedenti hanno prodotto esacerbate e prolungate tensioni sul mercato dei titoli di Stato italiani. Superata l’iniziale fase di estrema volatilità, il mercato dei titoli di Stato è poi tornato a sperimentare nuovi fasi di forte tensione in autunno, in concomitanza con la pubblicazione dei primi documenti ufficiali di politica economica”, aggiunge il Rapporto.

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