di Roberto Maida
sabato 22 ottobre 2016 09:28
ROMA – Aumentare i ricavi. Accrescere la visibilità internazionale. Conquistare nuovi partner commerciali. Sono tre pilastri ideologici della Roma made in Usa, comprensibilmente interessata a crescere di livello, potenza e credibilità nel consesso dei grandi club. Ma i risultati della squadra in campo europeo, e specialmente nel torneo più importante che si chiama Champions League, viaggiano nella direzione opposta: nei cinque anni di presidenza americana, da Thomas DiBenedetto a James Pallotta, sono state vinte soltanto 4 partite su 25. Stavano per diventare 5 ma la Roma, giusto un paio di giorni fa, ha pensato bene di regalare due punti all’Austria Vienna.
ROSSO – Il bilancio della vetrina sportiva internazionale è stupefacente in senso negativo. Con il 16 per cento di vittorie tra Champions ed Europa League la Roma ha peggiorato di molto lo score dell’epoca Sensi, che con Rosella ha vinto più della metà delle partite (53%) e con il padre Franco si era comunque assestata al 45%. Certo, una volta scalato il club la società si è dovuta ricostruire dalle fondamenta. Ma l’approccio di Luis Enrique, eliminato dal piccolissimo Slovan Bratislava nelle due famose partite di agosto in cui fece innervosire Totti e i tifosi, ha aperto una sequela di strafalcioni in zona euro.