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Se l’Italia giovane del dopoguerra incontrasse quella di oggi

Apr 5, 2017

E’ possibile cercare di recuperare, nell’Italia di oggi, lo slancio vitale del secondo dopoguerra? Quello che pose le basi per un miracolo economico che l’intera Europa ci ha invidiato? E’ possibile che l’Italia vecchia, agiata e impaurita di oggi ritrovi lo spirito di quella giovane del dopoguerra, povera ma piena di energia? Non facile. Come nota Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Universit Cattolica di Milano, gli italiani del 1945 sono molto lontani da quelli di oggi. Vediamo perch.

L’Italia dei primi decenni del dopoguerra, quella del miracolo economico, era ricca soprattutto di giovani, a loro volta pieni di energia da convogliare verso un futuro di maggior benessere, spiega Rosina su Neodemos.info. Al censimento del 1951 la met dei residenti nella Penisola aveva meno di trent’anni, un valore analogo a quello dell’attuale popolazione mondiale, mentre oggi in Italia gli under 30 sono meno del 9% della popolazione.

I tanti giovani del dopoguerra facevano parte di una generazione che partiva da modeste condizioni economiche, ma che aveva un enorme desiderio di crescere e grandi spazi aperti per provarci. Una generazione che si trovata ad aggiustare al rialzo le proprie aspettative con un corrispondente aumento della mobilit sociale – nota ancora il demografo – : non c’erano diritti o posizioni da difendere, ma nuovo benessere da costruire. Era molto pi la promessa di ci che si poteva ottenere uscendo dalla casa dei genitori che la certezza di ci che si aveva rimanendo. Quella generazione del dopoguerra pose non solo le basi del boom economico, ma anche di quello demografico.

Era un’Italia lontana anni luce da quella attuale. Oggi i giovani sono di meno, partono da condizioni di benessere maggiori rispetto alle generazioni passate, ma trovano minor spazio, soprattutto in Italia, per essere soggetti attivi di nuova crescita, continua Alessandro Rosina. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni oscilla da anni intorno a quota 40%, e il Rapporto Istat 2016 mostra come la fascia 15-34 anni abbia perso circa due milioni di occupati tra il 2008 e il 2015 (-28,1%). La conseguenza di tutto ci che oltre 100mila italiani – in buona parte giovani – lasciano ogni anno il Paese. Come stato possibile arrivare a questa situazione?

Dagli anni Ottanta l’Italia ha cambiato pelle, difendendosi dai cambiamenti anzich coglierne le opportunit. Questo trincerarsi in difesa, collettivo e individuale, ben rappresentato da due indicatori che si sono sistematicamente posizionati oltre la soglia di guardia, facendoci cos entrare in una spirale di bassa crescita e alti squilibri generazionali e sociali – sottolinea Rosina – : si tratta del prodotto interno lordo, inabissato sotto il debito pubblico, e la consistenza demografica della generazione dei figli, precipitata sotto quella dei genitori. Come eredit di questo modello di sviluppo bloccato ci troviamo ora ad avere una delle combinazioni peggiori al mondo tra alto debito pubblico e bassa presenza della nuove generazioni nei processi di produzione di nuova ricchezza.

Tutto questo si ripercuote appunto sul lavoro: nella prima met degli anni Novanta il tasso di occupazione degli uomini di 30-34 anni era superiore al 90%, mentre oggi supera di poco il 75%. Viceversa, sono in forte crescita gli occupati over 50. Insomma, mentre l’occupazione in et matura si sta avvicinando alla media europea, quella giovanile ne rimane drammaticamente lontana.

Il vero problema che l’Italia non solo povera di giovani, ma ha anche giovani sempre pi poveri. I dati Istat mostrano che nel 2015 la condizione di povert assoluta delle famiglie con persona di riferimento al di sotto dei 35 anni diventata pi frequente (10,2%), mentre invece scesa al 4% per le famiglie di anziani, spiega ancora su Neodemos.info il docente di demografia. In coerenza con questi squilibri crescenti rallentata la formazione di nuovi nuclei familiari ed diminuita la natalit – nota Rosina – . Non un caso se siamo una delle societ avanzate con pi bassa formazione di nuclei familiari prima dei 30 anni e, conseguentemente, con fecondit pi bassa prima di tale et.

Ma facciamo un confronto con la Francia, Paese simile per dimensioni demografiche al nostro. Mentre i francesi hanno mantenuto quasi costante nel tempo il contingente delle nascite, attorno a 800mila per anno, noi siamo progressivamente scesi fino a meno di 500mila (dati Istat 2017), nota ancora Rosina. Rispetto ai francesi, nella fascia 25-34 anni risultiamo essere oltre un milione in meno e in quella 15-24 ben un milione e mezzo in meno. Il divario aumenta se consideriamo il numero di giovani occupati. Tale valore era, nel 2006, pari a 2,2 milioni in Francia e 1,5 milioni in Italia. A dieci anni di distanza ne troviamo oltre 2 milioni oltralpe e meno di un milione da noi. Nello stesso periodo, nella fascia di et tra i 55 e i 64 anni la Francia salita da 2,7 a 3,9 milioni di occupati, e l’Italia da 2,3 a 3,7 milioni. Si quindi ampliato il divario sui giovani occupati, mentre si ridotto quello in et matura. Insomma, l’Italia di oggi – a differenza di quella del 1945 – non un Paese per giovani. Sar anche per questo che non sappiamo pi crescere?

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