NEW YORK – Yahoo il giorno dopo si difende. Al reportage della Reuters nel quale si accusa l’azienda di Sunnyvale di aver permesso agli 007 americani di accedere lo scorso anno a centinaia di milioni di account email private, arrivano le prime dichiarazioni ufficiali del gruppo guidato da Marissa Mayer: “Si tratta di notizie fuorvianti. Abbiamo sempre usato un criterio restrittivo nel consentire alle autorità di accedere ai dati personali del clienti”. Inoltre, spiega Yahoo, “un controllo delle email in entrata come viene descritto nel reportage non esiste nei nostri sistemi”. Non si dice di non aver aperto le porte alle agenzie di sicurezza come Nsa e Fbi, ma si sottolinea di averle aperte solo un poco. L’inchiesta giornalistica sembra affermare il contrario. E i contrasti che nel 2015 portarono alle dimissioni dell’ex responsabile della sicurezza di Yahoo, Alex Stamos, sembrano confermare lo scenario descritto.
Fatto sta che queste rivelazioni hanno terminato un vero e proprio sisma nell’azienda, accusata nelle scorse settimane di aver taciuto una colossale compromissione dei suoi account (almeno mezzo miliardo) da parte di hacker probabilmente per non compromettere la delicata fase di vendita della compagnia a Verizon. Si tratta di un caso “senza precedenti e incostituzionale”, accusa la principale associazione americana per la difesa dei diritti civili, l’American Civil Liberties Union che punta il dito contro il gigante web per non essersi opposto alla richiesta delle agenzie di intelligence federali. “Gli utenti contano sul fatto che le società tecnologiche proteggano i loro diritti e difendano il loro dati di fronte a richieste di spionaggio”. E questo, pare, non accaduto. Anzi.
Alzano le mani gli altri giganti Usa del web, da Google a Microsoft passando per Apple, e – nonostante nel 2013 molte di loro vennero indicate dal Washington Post come aderenti al programma di sorveglianza Prism – adesso prendono le distanze da Yahoo. “A noi non è mai arrivata una richiesta del genere, ma se fosse successo la nostra risposta sarebbe stata solo una: in nessun modo”, assicura Google che gestisce il servizio di posta Gmail. Anche Microsoft afferma di non aver mai controllato in massa account email per fornire informazioni agli 007: “Nessun traffico segreto di email come è stato riportato su Yahoo”. Rassicurazioni arrivano anche dalla Apple, da sempre in prima linea contro le pressioni degli investigatori che chiedono spesso d violare la privacy degli utenti nell’ambito delle indagini sul terrorismo: “Non abbiamo mai ricevuto una richiesta di questo tipo. Se fosse accaduto ci saremmo opposti davanti alla Corte”. Come nel caso della richiesta di scardinare la protezione dell’iPhone di uno degli autori della strage di San Bernardino. A sbloccarlo, almeno ufficialmente, pensò allora un hacker per conto dell’Fbi.