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Processo Cosentino: giudici in camera di consiglio

Nov 17, 2016

Santa Maria Capua Vetere – “Il collegio si ritira per deliberare”. E’ cominciata alle 14 la camera di consiglio, nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, aula A, piano terra, alla vigilia della sentenza di primo grado sul processo Eco 4 per Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario, parlamentare e coordinatore regionale del (fu) partito di Silvio Berlusconi, prima Fi poi Pdl, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza arriva dopo 5 anni e 8 mesi di dibattimento.

E’ il count down che prepara il (primo) più importante verdetto dopo la lunga azione giudiziaria che vede attualmente l’ex deputato coinvolto, complessivamente tra il distretto napoletano e quello romano, in cinque processi.

Cosentino in aula con i figli

Accanto ai suoi legali, ecco seduto nel primo banco Nicola Cosentino (oggi agli arresti domiciliari, dopo complessivi due anni e mezzo di carcere), che ascolta , a tratti scuote la testa o fa cenni di assenso ai toni fermi e talvolta rispettosamente taglienti con cui i suoi legali accompagnano l’interlocuzione con il pubblico ministero. Sono presenti anche, nei banchi in fondo dedicati al pubblico, alcuni amici e conoscenti del politico, ed i suoi figli gemelli 22enni, Silvio e Mario, che siedono in silenzio. Si limitano solo a dire Repubblica: “Il nostro auspicio è scontato, per questa sentenza. Ma aspettiamo rispettosamente, vogliamo stare accanto a lui. Nostro padre ha sempre fatto politica con pulizia e passione”.

La richiesta dell’accusa

Nell’udienza dello scorso ottobre, il pm Alessandro Milita ha chiesto per lui 16 anni di carcere, chiosando: “E’ il processo più grave che c’è oggi in Italia. Nicola Cosentino era legato ai Casalesi da un saldo accordo politico-mafioso che, come si evince dal racconto dei collaboratori di giustizia, risaliva al padre e che permane ancora. È facile fare carriera così, fare i soldi così, ma si finisce in carcere. Spero che la sentenza ponga la parola fine alla storia di Cosentino, e che nessuno a lui collegato lo emuli”. Dal loro canto, la difesa rappresentata dagli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro, ribadendo l’innocenza dell’imputato, e il suo “essere stato già condannato dal suo atto di nascita che lo radica a Casal di Principe”, hanno messo in luce “le numerosissime contraddizioni e incoerenze in cui cade la ricostruzione della pubblica accusa, le infondate dichiarizioni di molti pentiti” e la “cultura del sospetto” cui sembra essere improntata la tesi accusatoria: fino a prevedere che sarà “la corte di giustizia europea a dire parole chiare su questa estensione del concetto di concorso esterno in associazione mafiosa”. Concetto ribadito dai legali anche poche ore fa, nell’ultimo duello in aula tra pm e difensori.


L’ultimo duello

Il pm Milita ha ricordato, con toni gravi e un passaggio che farà discutere, anche la circostanza che, una volta emersa la notizia di indagini in corso sull’allora potente Cosentino nel 2008, si provò a “dividere la Dda di Napoli, immaginando una sezione della distrettuale antimafia a Santa Maria Capua Vetere, con proposta di legge firmata da Cosentino”: un progetto che, sottolinea Milita, aveva il sostegno del suo collega Donato Ceglie, magistrato attualmente coinvolto in alcune vicende giudiziarie ma di recente assolto a Roma dall’accusa di concussione. Di contro, gli avvocati hanno replicato con durezza: “Se questa è la cultura del sospetto che muove le teorie dell’ufficio di Procura, allora dobbiamo rifiutarci di discutere in questo processo? Chiediamo invece che il collegio riconosca l’innocenza dell’imputato e che liberi Cosentino da questo calvario”.



I rifiuti e il clan


Si consuma dunque oggi, a Santa Maria Capua Vetere, l’ultimo pezzo di strada per il dibattimento-principe che colpì al cuore la stagione politica di Cosentino: ipotizzando che sia stato lui la figura di riferimento e di cerniera “politico-amministrativa” del gotha criminale di Gomorra, radicato a Casal di Principe, ma con interessi e traffici diffusi in vari punti della Regione, e in particolare nel settore rifiuti. Tutto il processo ruota infatti intorno alla reale titolarità e gestione della Eco 4, l’ex consorzio dei rifiuti di cui, stando alle dichiarazioni del potente stake older criminale dei rifiuti, Gaetano Vassallo, poi pentito, Cosentino era l’unico e solo deus ex machina.

“L’Eco 4 è una mia creatura, la Eco 4 song’io”, avrebbe detto l’ex parlamentare a Vassallo. Non solo. Stando ad alcuni passaggi dell’ordinanza di misura cautelare in carcere , Vassallo – che rappresentava l’ala imprenditoriale dell’ala del boss Bidognetti – avrebbe incontrato Cosentino in alcune occasioni, e anche nella casa del politico, perché egli assumesse ruoli di fatto in una società controllata dalla Eco 4. Ma avrebbe trovato l’opposizione di Cosentino perché il politico gli avrebbe spiegato che, in quel momento, gli interessi economici dei clan si erano spostati “a Santa Maria la Fossa e lì comandava il gruppo camorristico degli Schiavone”, con la conseguente esclusione della fazione Bidognetti.


I numeri del processo

Un esito che, a Santa Maria Capua Vetere, arriva dopo cinque anni e otto mesi di processo, 141 udienze dibattimentali, oltre 300 testimoni citati (ma 120 quelli ascoltati) , tra i quali politici di destra e di sinistra, e una ventina di pentiti di criminalità organizzata.

Lo strappo con Berlusconi

E’ l’inchiesta che spinse l’ex Cavaliere a liberarsi dell’ingombrante presenza di Cosentino, spuntando a poche ore dalla presentazione delle liste dei candidati, alle elezioni politiche del 2013, il nome del politico: l’ex suo sottosegretario all’Economia che pure gli aveva assicurato alcune signifiative vittorie amministrative e la soluzione di molte complicazioni legate all’offensiva e ai ricatti delle papi girl. Una decisione che, di fatto, lo consegnò all’esecuzione della micura cautelare che pendeva sulle sue spalle da tempo, e quindi al carcere. Dove Cosentino si consegnò allo scadere delle sua immunità di parlamentare.

Ma nel gennaio 2013, nel corso di una lunga intervista a Repubblica, si sfogò contro il suo ex leader Berlusconi. “Sono schifato, si è svenduto tutta la sua cultura garantista per un pugno di voti. Ma io non muovo un dito per questa campagna. Una delusione enorme. Prima mi chiedono di dare il sangue, fare le liste migliori, allenare la squadra, poi zac, fanno fuori l’allenatore”. Da allora, lui e Berlusconi non si sarebbero mai più incontrati.

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