• 20 Aprile 2024 12:08

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Perché serve la terza dose di vaccino per contrastare Omicron e le infezioni future

Gen 6, 2022

Abbiamo più volte ripetuto come la variante Omicron, secondo un certo numero di studi provochi un minor danno ai polmoni. Abbiamo pure recentemente esaminato gli studi che dimostrano che la miglior difesa contro il danno clinico che questa variante è comunque in grado di provocare e dalla conseguente crisi che è in grado di causare al nostro sistema sanitario è costituita dalla vaccinazione, perché la risposta di tipo T, indotta dai vaccini e dalle infezioni pregresse con altre varianti, agisce allo stesso modo contro Omicron anche a oltre otto mesi di distanza dal completamento del ciclo vaccinale, diminuendo di molto la probabilità di esiti severi dell’infezione. Vale la pena di richiamare le ragioni per cui una terza dose di vaccino è necessaria e consigliabile.

 

Innanzitutto, come si ricorderà, la terza dose rafforza la nostra “prima linea” di difesa contro Omicron: gli anticorpi neutralizzanti presenti in circolo, a seguito di questa, aumentano di 20-40 volte in individui vaccinati da oltre cinque mesi. Ciò è coerente con un’efficacia di circa il 70 per cento nel prevenire l’infezione sintomatica, come osservato per esempio nel Regno Unito, a fronte di poca protezione residua dall’infezione senza la terza dose (circa 30 per cento oltre cinque mesi). Gli anticorpi circolanti indotti dalla terza dose, è bene ricordarlo, non proteggono solo dall’infezione: neutralizzando il virus, essi prevengono anche le conseguenze più severe di quest’ultimo, come evidente nella tabella 6 di un rapporto del 31 dicembre prodotto sempre dal Regno Unito: senza distinguere tra i vari vaccini, l’efficacia nel prevenire l’ospedalizzazione causata da Omicron in soggetti che hanno ricevuto la seconda dose da oltre 25 settimane è pari al 52 per cento (confidenza al 95 per cento: 21-71 per cento), in soggetti che hanno ricevuto la terza dose da due o più settimane è invece pari all’88 per cento (confidenza al 95 per ecnto: 78-93 per cento).

 

In aggiunta, un importante preprint appena pubblicato aggiunge un tassello del massimo rilievo. Le cellule di memoria di tipo B, vale a dire quei linfociti di memoria deputati a produrre grandi quantità di anticorpi specifici se, dopo una iniziale esposizione a un patogeno o a un vaccino, si incontra nuovamente quel patogeno, maturano ulteriormente con una terza dose di vaccino. Questa maturazione produce l’espansione forte di una popolazione di cellule di memoria che producono anticorpi in grado di riconoscere molte varianti diverse della proteina Spike, inclusa la variante supermutata di Omicron. Dunque, la terza dose non solo induce una temporanea espansione di anticorpi, e delle rispettive cellule B in grado di produrli, protettivi sia dall’infezione che dagli effetti clinici più severi dovuti all’infezione da Omicron, il che sarebbe già utile per affrontare il passaggio dell’ondata epidemica: essa induce anche la differenziazione di una popolazione di cellule della memoria immune in grado di produrre anticorpi ad ampio spettro, capaci di contrastare molte varianti note e probabilmente anche coronavirus diversi da Sars-CoV-2, una volta che l’organismo vi si trovi di nuovo esposto. “Contrastare” qui non significa necessariamente prevenire l’infezione; ciò che ci si aspetta, come minimo risultato, che infezioni future, anche ma non solo da Omicron, possano essere meno significative clinicamente di quanto non succede a chi ha fatto solo due dosi e non ha “raffinato” la sua memoria cellulare di tipo B nel modo descritto.

 

Vedremo se altre varianti peggioreranno l’equilibrio tra noi e questo parassita; per ora, il nostro sistema immunitario, opportunamente addestrato con tre dosi di vaccino, è in grado di giocare la sua partita darwiniana contro il virus, evitando ancora meglio del previsto che nel gioco vi siano troppi morti e malati, se non siamo così stupidi da rinunciare a ciò che abbiamo scoperto.

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