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‘Ndrangheta, catturato il latitante Pesce: era capo del clan che importava la cocaina

Gen 29, 2017

REGGIO CALABRIA – È finita la latitanza di Antonino Pesce, 34enne reggente dell’omonimo clan di Rosarno arrestato nella notte dai carabinieri. Insieme a lui è stato arrestato anche Tonino Belcastro, 53enne di Gioia Tauro, accusato di favoreggiamento. Un cappellino con visiera che gli nasconde gli occhi, volto più anziano dei suoi 34 anni tagliato in due da un ghigno beffardo, quando il latitante viene portato via in manette dalla villetta a mare in cui si nascoNdeva, sembra quasi non credere che la sua fuga sia finita.

Il blitz dei carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e della compagnia di Gioia Tauro lo ha intercettato quando già si accingeva ad andare via. E lo ha colto totalmente di sorpresa. Tanto da indurlo a temere, quanto meno per un momento, che non fossero carabinieri gli uomini, col volto coperto dai mephisto, che attorno a mezzanotte hanno fatto irruzione nel suo covo. I blitz – ha imparato in famiglia, grazie a padre, zii e cugini invecchiati in latitanza – vengono eseguiti sempre attorno alle 4 del mattino. Ma questa volta i carabinieri hanno deciso di non rischiare. Più di un segnale, suggeriva che Pesce si sarebbe potuto dileguare da lì a poco. E attorno a mezzanotte hanno deciso di agire. Una squadra a circondare la casa, l’altra dentro, a bloccare lui e il fiancheggiatore.

Pesce era al secondo piano, in un appartamento pieno di vestiti e giochi per bimbi, probabilmente dei suoi figli più piccoli. Fugati gli iniziali timori di un agguato organizzato da uno dei suoi tanti nemici, quando ha capito di avere davanti gli investigatori, il latitante ha prima tentato di disfarsi di una pistola,lanciandola da una finestra, poi si è rivolto con rabbia ai carabinieri, gridando loro “vi è arrivata la chiamata?”. Pesce era convinto che la sua latitanza fosse stata bruciata da una soffiata, ma a farlo cadere è stata solo l’abitudine di incontrare regolarmente moglie e figli, in una zona di Gioia Tauro che le pattuglie non dimenticano mai di controllare. Luci accese in una casa di norma disabitata sono state il campanello d’allarme che ha attirato l’attenzione gli investigatori, la noncuranza con cui Pesce si affacciava alle finestre, la sua rovina.

Ricercato dal luglio scorso per associazione a delinquere e traffico internazionale di stupefacenti, il 34enne Antonino Pesce, figlio del boss Giuseppe è considerato un uomo potente e pericoloso. Nonostante la giovane età, è ritenuto il reggente dell’omonimo clan. Arresti e processi hanno assottigliato i ranghi dell’organizzazione lasciando a lui lo scettro del comando. Era lui, dicono i magistrati, a gestire l’importazione di cocaina per conto del clan, come ad amministrare gli affari leciti ed illeciti di famiglia, per assicurare il mantenimento agli uomini del clan detenuti e alle loro famiglie.

Il suo ruolo è emerso in modo chiaro nell’inchiesta Vulcano, nell’ambito della quale era stato emesso per lui un mandato di cattura, cui per mesi è riuscito a sottrarsi. All’epoca, i finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria erano riusciti a scoprire un nuovo modo con cui i clan trasbordavano la cocaina importata dal Sud America. Arrivata in Italia su una cargoship, la droga veniva lanciata in mare prima che la nave attraccasse in porto e recuperata da alcune motonavi veloci. Un nuovo metodo – aveva svelato all’epoca l’inchiesta- che poteva contare sulla complicità del comandante della nave “Msc Poh Lin”, appartenente alla compagnia marittima Msc e impegnata sulla tratta “California Express”. Una rotta “comoda” per i narcos dei clan: prima dell’approdo a Gioia Tauro, tocca infatti i porti panamensi di Balboa e Cristobal, considerati dagli investigatori i principali centri di smistamento internazionale della “bianca”. Quando l’operazione Vulcano è scattata, a bordo della nave i finanzieri sono riusciti a scovare 83 chili di cocaina purissima.

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