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L’eterologa non dà problemi, dice Aifa. Ma in base a quali studi?

Giu 17, 2021

Suona rassicurante quanto detto dal direttore generale di Aifa, Nicola Magrini, che ha dichiarato che “gli studi clinici garantiscono una sicurezza molto elevata, e anche per la sicurezza a lungo termine, eventuali problematicità vanno escluse alla luce dei dati disponibili”.  Tuttavia, pochi giorni fa, in un breve e incisivo intervento sul Corriere, Massimiano Bucchi invitava a non tornare all’“ipse dixit” in scienza; per questo, chiediamo a Nicola Magrini: a quali dati si riferisce, di quali studi parla? Perché se sono quelli discussi anche su queste pagine, voglio ricordare che sono studi di fase 2 in corso, su campioni di poche centinaia di persone e su un numero ancora più ridotto di persone giovani, visto che quelli inglesi sono dedicati a ultracinquantenni.

 

D’altra parte, proprio su queste pagine, l’assessore alla Sanità della regione Lazio ha annunciato che si cercherà di organizzare un trial per testare efficacia e sicurezza della vaccinazione eterologa; è una notizia in sé benvenuta, che conferma l’assenza di dati sufficienti, e offre un’ottima occasione per cercare di spiegare al lettore di quali dati si avrebbe bisogno. Per farlo, conviene partire dall’unico vaccino con prima e seconda dose eterologhe sin qui approvato, lo Zabdeno/Mvabea di J&J. Si tratta di un’approvazione di emergenza, concessa perché in Africa la crisi di Ebola non è mai terminata, e fino a pochissimo tempo fa non vi era modo di prevenire questa malattia estremamente più letale del Covid-19.

 

Ora, questo vaccino, pur in emergenza, pur per una malattia devastante, è stato testato su oltre 3.000 persone, in diverse nazioni del mondo e con studi policentrici, oltre che randomizzati e in cieco. Questo è l’unico vaccino con prime-boost eterologo sin qui approvato, e l’approvazione dopo gli studi indicati è arrivata solo perché si era in emergenza; il lettore ne potrà correttamente dedurre che studi almeno paragonabili, multicentrici, in cieco, randomizzati e su un campione di dimensioni adeguate dovrebbero essere condotti per approvare una formulazione eterologa per la vaccinazione contro Sars-CoV-2. In questo senso, uno studio su un piccolo campione, magari osservazionale, condotto dallo Spallanzani sarebbe una presa in giro, poco più di un pannicello caldo e probabilmente uno spreco di soldi pubblici (come è avvenuto, secondo quanto riportato dalla comunità scientifica, in moltissime occasioni durante la pandemia). L’organizzazione di uno studio di dimensioni e disegno appropriati, su scala nazionale, sarebbe l’unica cosa seria e sensata da fare prima di pronunciarsi sulla vaccinazione eterologa – basti vedere come il precedente direttore di Aifa, Luca Pani, ha criticato in proposito l’attuale gestione.

 

Se non si volesse intraprendere la strada di un trial clinico appropriato, si potrebbe tuttavia ancora aspettare la conclusione di quattro sperimentazioni cliniche in corso (una in Spagna, due in Inghilterra, una negli Stati Uniti); tra qualche mese, a sentire i responsabili di questi studi, avremo i dati, e avremo quindi una più solida base. “Nullius in verba”, ricordava Bucchi citando il motto della Royal Society; e dunque, finché non si rendono accessibili dati e analisi, non si capisce perché dovremmo credere a questo o quello scienziato dal solidissimo curriculum e dalla meritata reputazione, a questa o quella istituzione scientifica di vigilanza, fino al momento in cui non potremo ragionare sui dati.

 

Chi va contro questo principio basilare, potrà anche azzeccare la scelta; di sicuro, tuttavia, sta contribuendo a picconare la reputazione del metodo scientifico e sta azzardando sulla pelle dei cittadini, e la prossima volta non potrà contestare chi pretenderà di effettuare altre scelte, sulla base della propria personale competenza ed esperienza.

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