• 29 Marzo 2024 0:44

Corriere NET

Succede nel Mondo, accade qui!

La nuova frontiera del tifo sostenibile è la delazione

Apr 2, 2021

Che cosa ci ha trasformati in fustigatori dei costumi dei calciatori? Da quando abbiamo deciso che il 10 stampato sulla maglietta del giocatore più forte dovesse essere anche il suo voto in condotta di immaginarie pagelle in cui è obbligatorio avere almeno la sufficienza in educazione civica, pena la sospensione? Perché pretendiamo dai calciatori comportamenti che non pretendiamo da altri, tantomeno da noi stessi?

Il moralismo classista che da tempo affligge il mondo dello sport ha trovato il suo culmine in questi giorni a Torino, quando un tifoso della Juventus ha chiamato la polizia perché Weston McKennie, suo vicino di casa e giocatore bianconero, aveva più ospiti a cena di quelli permessi dal Dpcm oltre  l’orario di coprifuoco. Le forze dell’ordine avrebbero quindi  dovuto aspettare un’ora prima di riuscire a farsi aprire la porta (avevano un mandato? Si può entrare in casa della gente perché un vicino ha telefonato?) e multare i presenti, tra cui c’erano anche Dybala e Arthur.

 

Subito intervistato dal Corriere, il vendicatore della povera gente costretta a seguire le regole mentre i calciatori fanno i privilegiati ha insistito su particolari inutili come i modelli delle auto parcheggiate fuori e sul numero di ragazze che scendevano da queste auto. La storia è diventata  questione di tifo calcistico – i soliti juventini che infrangono le regole e pensano di farla franca! – oltre ad avere innescato la gara a chi ha la morale più lunga – vergogna, c’è gente che muore in terapia intensiva e loro fanno una cena! Il guardonismo delatorio ci ha talmente fuso il cervello che da giorni i virologi da social network attaccano i giocatori bianconeri ed esaltano il coraggio sovietico del vicino di casa, eroe del nuovo tifo sostenibile che ha messo l’amore per la salute pubblica di fronte all’amore per la sua squadra.

I tre calciatori, non contenti di avere effettivamente sbagliato a fare una cosa altamente sconsigliata, hanno pure fatto l’errore di cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa, dando così altro materiale alla narrazione imperante sugli sportivi che devono dare il buon esempio. Pirlo ha poi lisciato il pelo al sentire comune e ha furbamente detto che i tre non saranno convocati per il derby (non lo sarebbero stati lo stesso quasi certamente), si è preso l’applauso dei soloni di Twitter e l’ha chiusa lì. Io osservo la fine triste dell’epoca in cui al massimo si vendevano informazioni a un tabloid per raccontare le orge notturne di calciatori sbronzi.

Adesso che l’unico calciatore buono è quello allineato, fa scalpore la decisione della Polonia di non fare inginocchiare i propri calciatori prima del fischio iniziale della partita contro l’Inghilterra per il solito teatrino antirazzista: i polacchi hanno indicato la scritta Respect sulle loro maglie, e detto quello che tutti sanno ma nessuno dice: Black Lives Matter è un movimento politico,  farne parte o ripeterne i gesti non è l’unico modo per essere antirazzisti. Troppo distratti a vedere se l’attaccante della nostra squadra del cuore indossa bene la mascherina, nemmeno ce ne siamo accorti. 

  

Che cosa ci ha trasformati in fustigatori dei costumi dei calciatori? Da quando abbiamo deciso che il 10 stampato sulla maglietta del giocatore più forte dovesse essere anche il suo voto in condotta di immaginarie pagelle in cui è obbligatorio avere almeno la sufficienza in educazione civica, pena la sospensione? Perché pretendiamo dai calciatori comportamenti che non pretendiamo da altri, tantomeno da noi stessi?
Il moralismo classista che da tempo affligge il mondo dello sport ha trovato il suo culmine in questi giorni a Torino, quando un tifoso della Juventus ha chiamato la polizia perché Weston McKennie, suo vicino di casa e giocatore bianconero, aveva più ospiti a cena di quelli permessi dal Dpcm oltre  l’orario di coprifuoco. Le forze dell’ordine avrebbero quindi  dovuto aspettare un’ora prima di riuscire a farsi aprire la porta (avevano un mandato? Si può entrare in casa della gente perché un vicino ha telefonato?) e multare i presenti, tra cui c’erano anche Dybala e Arthur.
 
Subito intervistato dal Corriere, il vendicatore della povera gente costretta a seguire le regole mentre i calciatori fanno i privilegiati ha insistito su particolari inutili come i modelli delle auto parcheggiate fuori e sul numero di ragazze che scendevano da queste auto. La storia è diventata  questione di tifo calcistico – i soliti juventini che infrangono le regole e pensano di farla franca! – oltre ad avere innescato la gara a chi ha la morale più lunga – vergogna, c’è gente che muore in terapia intensiva e loro fanno una cena! Il guardonismo delatorio ci ha talmente fuso il cervello che da giorni i virologi da social network attaccano i giocatori bianconeri ed esaltano il coraggio sovietico del vicino di casa, eroe del nuovo tifo sostenibile che ha messo l’amore per la salute pubblica di fronte all’amore per la sua squadra.
I tre calciatori, non contenti di avere effettivamente sbagliato a fare una cosa altamente sconsigliata, hanno pure fatto l’errore di cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa, dando così altro materiale alla narrazione imperante sugli sportivi che devono dare il buon esempio. Pirlo ha poi lisciato il pelo al sentire comune e ha furbamente detto che i tre non saranno convocati per il derby (non lo sarebbero stati lo stesso quasi certamente), si è preso l’applauso dei soloni di Twitter e l’ha chiusa lì. Io osservo la fine triste dell’epoca in cui al massimo si vendevano informazioni a un tabloid per raccontare le orge notturne di calciatori sbronzi.
Adesso che l’unico calciatore buono è quello allineato, fa scalpore la decisione della Polonia di non fare inginocchiare i propri calciatori prima del fischio iniziale della partita contro l’Inghilterra per il solito teatrino antirazzista: i polacchi hanno indicato la scritta Respect sulle loro maglie, e detto quello che tutti sanno ma nessuno dice: Black Lives Matter è un movimento politico,  farne parte o ripeterne i gesti non è l’unico modo per essere antirazzisti. Troppo distratti a vedere se l’attaccante della nostra squadra del cuore indossa bene la mascherina, nemmeno ce ne siamo accorti. 
  

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