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Internaut Day, 25 anni fa il WWW per tutti

Ago 23, 2016

LA STORIA di internet, si sa, è piena di compleanni e ricorrenze. Quella di oggi, però, è particolarmente importante. Il 23 agosto 1991, cioè 25 anni fa, la prima pagina del World Wide Web, cioè dello spazio organizzato e navigabile di internet, diveniva disponibile al di fuori degli utenti del Cern, l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare dove lavorava Tim Berners-Lee, il papà della rete per come la conosciamo e utilizziamo oggi.

La prima pagina web, ancora disponibile al suo indirizzo originario, andò online il 6 agosto 1991. Si trattava di una sorta di libretto d’istruzioni sul nuovo meccanismo di ipertesto facilmente navigabile fra le risorse memorizzate su vari computer e server. Tuttavia fu solo 17 giorni più tardi che utenti esterni ai laboratori di Ginevra furono invitati a unirsi alla nascente ragnatela. Per questo, cioè per l’apertura ufficiale di quell’universo elettronico che ha messo a disposizione del pubblico comune l’accesso alla ben più stagionata rete internet, si festeggia oggi l’Internaut Day. E, come in molte altre occasioni, si torna a fare gli auguri a Berners-Lee, l’informatico britannico oggi 61enne che insieme al collega belga Robert Cailliau confezionò i principi per il sistema di ipertesti, il cui codice sarebbe stato reso libero e gratuito per sempre proprio dal Cern appena un anno dopo.

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Già perché la storia che portò ai primi esperimenti del genere, partiti nel 1989, è in realtà ben più radicata nel tempo. Nel 1980 Berners-Lee aveva per esempio messo in piedi un primo database di impiegati e modelli di software utilizzati al centro svizzero. Lo spunto del www, infatti, nacque proprio dal desiderio di rendere più facilmente consultabile la pachidermica documentazione di ricerca. E magari scambiarla, meglio di quanto già si facesse, fra istituti di tutto il mondo. Da quel database nacque l’approccio ipertestuale con le pagine intrecciate l’una all’altra. Ci avrebbe impiegato dieci anni lo scienziato nato a Londra nel 1955 a perfezionare le ricerche e a proporre, nel 1989, l’idea di un “sistema d’informazione universalmente collegato” che cavalcasse le ben note potenzialità di internet a una più efficace organizzazione del contenuti.

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Un anno dopo avrebbe confezionato l’HyperText Transfer Protocol, cioè il protocollo di trasferimento, l’attuale Http gestito dal World Wide Web Consortium di Cambridge (Stati Uniti) presieduto proprio da Berners-Lee, e il linguaggio con cui utilizzarne le possibilità, l’HyperText Markup Language (Html), ponendo infine le basi concrete – dopo decenni di speculazioni più o meno complesse come il progetto Xanadu di Ted Nelson – dell’Url, cioè lo Uniform resource identifier, l’indirizzo numerico univoco di ogni pagina della ragnatela. Era l’embrione della tela su cui ci muoviamo oggi e che negli anni è arrivata a contare qualcosa come un miliardo e 70 milioni di siti attivi e e 3,5 miliardi di utenti. Il traguardo fu raggiunto secondo NetCraft nel settembre del 2014.

“Se la tecnologia fosse rimasta proprietaria e sotto il mio controllo totale non sarebbe probabilmente decollata – ha spiegato Berners-Lee – la decisione di rendere il Web un sistema aperto era necessaria affinché diventasse universale. Non si può proporre un progetto di spazio globale e pretendere di mantenerne il controllo”. Negli anni successivi, prima con Mosaic e poi con Netscape ed Explorer di Microsoft, milioni di persone si sarebbero immerse in questa rete considerandola un tutt’uno con internet. È un clamoroso errore sovrapporre i due spazi ma d’altronde, per le masse, internet viene alla luce esattamente con la sua fruizione tramite i browser intorno al 1995. Prima era ”pane” per esperti, professori, ricercatori, enti pubblici e privati o di ricerca.

Anche Google ha celebrato l’avvenimento con l’immancabile doodle dedicato all’inventore e in fondo proprio a chi quel sistema l’ha popolato. Gli “internauti”, termine volutamente démodé, ormai fuori uso, ma che sfodera proprio il sapore degli anni Novanta e testimonia che la Rete è di chi la vive e la costruisce, non solo di chi ne predispone le condizioni per la crescita.

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