• 25 Aprile 2024 13:25

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Il rugby azzurro è orfano di due pilastri

Apr 13, 2021

AGI – Nel rugby del Sei Nazioni, con più passerelle mediatiche e meno fango, l’Italia galleggia a fatica, reduce com’è dal sesto cucchiaio di legno consecutivo. Ma la palla ovale azzurra era nata ben prima di quell’esordio fortunato nel torneo dell’elite europea il 5 febbraio del 2000, quando battemmo la Scozia. A ricordarcelo è stato un doppio lutto in questo aprile crudele: domenica 11 sono venuti a mancare nel gito di poche ore l’ex pilone laziale e capitano azzurro Massimo Cuttitta, spentosi a soli 54 anni per Covid ad Albano Laziale, e lo storico capitano e ct Marco Bollesan, nato 79 anni fa a Chioggia ma cresciuto e scomparso, a Genova, deceduto per un male incurabile dopo che aveva sconfitto il coronavirus lo scorso anno. “La famiglia del rugby piange due grandi campioni”, ha commentato il presidente del Coni, Giovanni Malagò.

La leggenda Bollesan

Quarantasette volte azzurro, 34 volte capitano della Nazionale, commissario tecnico alla prima Rugby World Cup del 1987, team manager nelle rassegne iridate del 2003 e del 2007, fondatore delle Zebre. ‘Leggenda’ non è un termine abusato quando lo si lega al nome di Marco Bollesan. Azzurro numero 193, unico rugbista inserito dal Coni nella Walk of Fame che attraversa il Parco del Foro Italico, avrebbe compiuto ottant’anni il prossimo 7 luglio. Dal suo debutto con l’Italia, nemmeno ventiduenne il 14 aprile del 1963 a Grenoble contro la Francia, un’istituzione del Rugby azzurro, una bandiera, un simbolo in anni in cui la palla ovale era lontanissima dai riflettori odierni e il Sei Nazioni, per il nostro Rugby, più un sogno che un’ambizione.

Un veneto cresciuto a Genova

Nato a Chioggia ma cresciuto a Genova, flanker nelle fila del Cus del capoluogo ligure, dopo essersi imposto come una delle migliori terze linee del panorama nazionale era passato alla Partenope conquistando il titolo di campione d’Italia del 1966 prima di rientrare al suo club d’origine, sfiorando per tre anni il titolo tricolore con i genovesi per poi conquistarlo nel 1975 con la maglia del Brescia, nello stesso anno della sua ultima apparizione in azzurro contro la Cecoslovacchia a Reggio Calabria

Il tour sudafricano del 1973

In carriera aveva avuto il privilegio di capitanare l’Italia in occasione dello storico tour sudafricano del 1973, uno dei punti di svolta nella storia della palla ovale nostrana e, nello stesso anno era stato tra i soci fondatori delle Zebre. Nominato commissario tecnico, in tandem con Gianni Franceschini, nel primo mandato della presidenza Mondelli, aveva guidato la Nazionale alla prima Rugby World Cup del 1987 in Nuova Zelanda, sfiorando l’accesso ai quarti di finale. Tra il 2002 ed il 2008 era rientrato nello staff della Nazionale come Team Manager durante le gestioni di John Kirwan e Pierre Berbizier, ultimi passi professionali di una vita interamente dedicata al servizio del Rugby italiano.

Il ricordo di Innocenti

“Per i rugbisti della mia generazione, per chiunque abbia praticato lo sport tra gli anni ’60 e gli anni ’80, ma anche per chi è venuto dopo Marco Bollesan è stato un esempio – ha dichiarato il presidente della Fir, Marzio Innocenti, esprimendo il cordoglio della Federazione – l’epitome del rugbista coraggioso, il simbolo di un gioco dove fango, sudore e sangue rappresentavano i migliori titoli onorifici. Ha contribuito a far conoscere il Rugby nel nostro Paese ben prima della rivoluzione professionistica del 1996, incarnando lo spirito del Rugby italiano per oltre due decenni e rivestendo anche negli anni successivi al suo ritiro dal campo una serie di ruoli strategici per la Federazione. Gli saremo eternamente grati per il suo straordinario contributo ed io, in particolare, porterò sempre nel cuore i suoi insegnamenti e l’onore che mi riconobbe assegnandomi, da commissario tecnico, i gradi di capitano della Nazionale durante la propria gestione. Siamo vicini alle figlie Miride e Marella ed a tutta la sua famiglia – ha concluso – il Rugby italiano ha perso uno dei suoi figli prediletti”. 

‘Mouse’, il gigante buono

Massimo Cuttitta si è spento l’11 aprile ad Albano Laziale all’età di 54 anni per complicazioni insorte a seguito della positività al Covid-19. Massimo, Azzurro n. 423, aveva debuttato con l’Italia a Napoli nel 1990 contro la Polonia, indossando poi la maglia della Nazionale in altre 69 occasioni sino al 2000, anno del suo ritiro internazionale dopo aver vissuto da protagonista il debutto nel Sei Nazioni contro la Scozia, nell’indimenticabile successo del 5 febbraio al Flaminio. In 22 occasioni, Cuttitta aveva guidato come capitano la Nazionale Italiana Rugby. Nato a Latina, ma cresciuto rugbisticamente in Sudafrica al pari del gemello Marcello, Massimo aveva indossato in carriera le maglie de L’Aquila, dell’Amatori Calvisano e del Milan e quella degli Harlequins londinesi, prendendo parte nel mentre a due edizioni della Coppa del Mondo e vestendo in più occasioni il bianconero dei Barbarians.

Le esperienze all’estero

Conclusa l’esperienza d’Oltremanica, aveva ricoperto il ruolo di giocatore-allenatore per numerosi club italiani – Bologna, Rugby Roma, Alghero e Leonessa – prima di approdare come tecnico degli avanti ad Edimburgo e, da lì, alla federazione scozzese, rilanciando con il proprio lavoro il pack Highlander sulla scena internazionale. Più recentemente, aveva messo la propria esperienza di allenatore della mischia al servizio di Nazionali emergenti come Romania, Canada e Portogallo, svolgendo incarichi di consulente per i rispettivi staff tecnici.

L’approdo al Sei Nazioni

“Tutto il Rugby italiano è intimamente toccato dalla scomparsa di Massimo, uno dei simboli della Nazionale che, grazie a una straordinaria generazione di giocatori, conquistò l’accesso al Torneo delle Sei Nazioni con una serie di indimenticabile prestazioni negli Anni ’90”, ha dichiarato il presidente della Fir, Marzio Innocenti. “Non abbiamo avuto la possibilità di condividere la maglia azzurra, ma l’amore per i nostri colori aveva costituito tra noi un forte, naturale legame. Cuttitta non è stato solo un incredibile servitore del Rugby italiano ed un eccellente interprete del ruolo di pilone sinistro, ma anche un apprezzato ambasciatore del nostro movimento all’estero, allenatore degli avanti per la Scozia e per altre Nazionali che ha contribuito a portare sul palcoscenico della Rugby World Cup”. “In questo tragico momento – ha concluso il Presidente federale – i miei pensieri, quelli del Consiglio e di tutto il Rugby italiano vanno a Marcello ed a tutta la famiglia Cuttitta, già profondamente toccata pochi giorni fa dalla scomparsa della mamma di Massimo, Marcello e Michele”. In memoria di Massimo Cuttitta il Presidente federale ha disposto che un minuto di silenzio venga osservato nel prossimo fine settimana prima del calcio d’inizio degli incontri del Campionato Italiano Peroni. 

AGI – Nel rugby del Sei Nazioni, con più passerelle mediatiche e meno fango, l’Italia galleggia a fatica, reduce com’è dal sesto cucchiaio di legno consecutivo. Ma la palla ovale azzurra era nata ben prima di quell’esordio fortunato nel torneo dell’elite europea il 5 febbraio del 2000, quando battemmo la Scozia. A ricordarcelo è stato un doppio lutto in questo aprile crudele: domenica 11 sono venuti a mancare nel gito di poche ore l’ex pilone laziale e capitano azzurro Massimo Cuttitta, spentosi a soli 54 anni per Covid ad Albano Laziale, e lo storico capitano e ct Marco Bollesan, nato 79 anni fa a Chioggia ma cresciuto e scomparso, a Genova, deceduto per un male incurabile dopo che aveva sconfitto il coronavirus lo scorso anno. “La famiglia del rugby piange due grandi campioni”, ha commentato il presidente del Coni, Giovanni Malagò.
La leggenda Bollesan
Quarantasette volte azzurro, 34 volte capitano della Nazionale, commissario tecnico alla prima Rugby World Cup del 1987, team manager nelle rassegne iridate del 2003 e del 2007, fondatore delle Zebre. ‘Leggenda’ non è un termine abusato quando lo si lega al nome di Marco Bollesan. Azzurro numero 193, unico rugbista inserito dal Coni nella Walk of Fame che attraversa il Parco del Foro Italico, avrebbe compiuto ottant’anni il prossimo 7 luglio. Dal suo debutto con l’Italia, nemmeno ventiduenne il 14 aprile del 1963 a Grenoble contro la Francia, un’istituzione del Rugby azzurro, una bandiera, un simbolo in anni in cui la palla ovale era lontanissima dai riflettori odierni e il Sei Nazioni, per il nostro Rugby, più un sogno che un’ambizione.
Un veneto cresciuto a Genova
Nato a Chioggia ma cresciuto a Genova, flanker nelle fila del Cus del capoluogo ligure, dopo essersi imposto come una delle migliori terze linee del panorama nazionale era passato alla Partenope conquistando il titolo di campione d’Italia del 1966 prima di rientrare al suo club d’origine, sfiorando per tre anni il titolo tricolore con i genovesi per poi conquistarlo nel 1975 con la maglia del Brescia, nello stesso anno della sua ultima apparizione in azzurro contro la Cecoslovacchia a Reggio Calabria
Il tour sudafricano del 1973
In carriera aveva avuto il privilegio di capitanare l’Italia in occasione dello storico tour sudafricano del 1973, uno dei punti di svolta nella storia della palla ovale nostrana e, nello stesso anno era stato tra i soci fondatori delle Zebre. Nominato commissario tecnico, in tandem con Gianni Franceschini, nel primo mandato della presidenza Mondelli, aveva guidato la Nazionale alla prima Rugby World Cup del 1987 in Nuova Zelanda, sfiorando l’accesso ai quarti di finale. Tra il 2002 ed il 2008 era rientrato nello staff della Nazionale come Team Manager durante le gestioni di John Kirwan e Pierre Berbizier, ultimi passi professionali di una vita interamente dedicata al servizio del Rugby italiano.
Il ricordo di Innocenti
“Per i rugbisti della mia generazione, per chiunque abbia praticato lo sport tra gli anni ’60 e gli anni ’80, ma anche per chi è venuto dopo Marco Bollesan è stato un esempio – ha dichiarato il presidente della Fir, Marzio Innocenti, esprimendo il cordoglio della Federazione – l’epitome del rugbista coraggioso, il simbolo di un gioco dove fango, sudore e sangue rappresentavano i migliori titoli onorifici. Ha contribuito a far conoscere il Rugby nel nostro Paese ben prima della rivoluzione professionistica del 1996, incarnando lo spirito del Rugby italiano per oltre due decenni e rivestendo anche negli anni successivi al suo ritiro dal campo una serie di ruoli strategici per la Federazione. Gli saremo eternamente grati per il suo straordinario contributo ed io, in particolare, porterò sempre nel cuore i suoi insegnamenti e l’onore che mi riconobbe assegnandomi, da commissario tecnico, i gradi di capitano della Nazionale durante la propria gestione. Siamo vicini alle figlie Miride e Marella ed a tutta la sua famiglia – ha concluso – il Rugby italiano ha perso uno dei suoi figli prediletti”. 
‘Mouse’, il gigante buono
Massimo Cuttitta si è spento l’11 aprile ad Albano Laziale all’età di 54 anni per complicazioni insorte a seguito della positività al Covid-19. Massimo, Azzurro n. 423, aveva debuttato con l’Italia a Napoli nel 1990 contro la Polonia, indossando poi la maglia della Nazionale in altre 69 occasioni sino al 2000, anno del suo ritiro internazionale dopo aver vissuto da protagonista il debutto nel Sei Nazioni contro la Scozia, nell’indimenticabile successo del 5 febbraio al Flaminio. In 22 occasioni, Cuttitta aveva guidato come capitano la Nazionale Italiana Rugby. Nato a Latina, ma cresciuto rugbisticamente in Sudafrica al pari del gemello Marcello, Massimo aveva indossato in carriera le maglie de L’Aquila, dell’Amatori Calvisano e del Milan e quella degli Harlequins londinesi, prendendo parte nel mentre a due edizioni della Coppa del Mondo e vestendo in più occasioni il bianconero dei Barbarians.
Le esperienze all’estero
Conclusa l’esperienza d’Oltremanica, aveva ricoperto il ruolo di giocatore-allenatore per numerosi club italiani – Bologna, Rugby Roma, Alghero e Leonessa – prima di approdare come tecnico degli avanti ad Edimburgo e, da lì, alla federazione scozzese, rilanciando con il proprio lavoro il pack Highlander sulla scena internazionale. Più recentemente, aveva messo la propria esperienza di allenatore della mischia al servizio di Nazionali emergenti come Romania, Canada e Portogallo, svolgendo incarichi di consulente per i rispettivi staff tecnici.
L’approdo al Sei Nazioni
“Tutto il Rugby italiano è intimamente toccato dalla scomparsa di Massimo, uno dei simboli della Nazionale che, grazie a una straordinaria generazione di giocatori, conquistò l’accesso al Torneo delle Sei Nazioni con una serie di indimenticabile prestazioni negli Anni ’90”, ha dichiarato il presidente della Fir, Marzio Innocenti. “Non abbiamo avuto la possibilità di condividere la maglia azzurra, ma l’amore per i nostri colori aveva costituito tra noi un forte, naturale legame. Cuttitta non è stato solo un incredibile servitore del Rugby italiano ed un eccellente interprete del ruolo di pilone sinistro, ma anche un apprezzato ambasciatore del nostro movimento all’estero, allenatore degli avanti per la Scozia e per altre Nazionali che ha contribuito a portare sul palcoscenico della Rugby World Cup”. “In questo tragico momento – ha concluso il Presidente federale – i miei pensieri, quelli del Consiglio e di tutto il Rugby italiano vanno a Marcello ed a tutta la famiglia Cuttitta, già profondamente toccata pochi giorni fa dalla scomparsa della mamma di Massimo, Marcello e Michele”. In memoria di Massimo Cuttitta il Presidente federale ha disposto che un minuto di silenzio venga osservato nel prossimo fine settimana prima del calcio d’inizio degli incontri del Campionato Italiano Peroni. 

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