• 19 Marzo 2024 7:34

Corriere NET

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Il caso Bolton dimostra l’urgenza di un’immunità globale

Mag 13, 2021

Ben oltre l’80 per cento delle dosi di vaccino, finora, sono andate nei paesi a economia più sviluppata del mondo. Si ripete spesso che questa disomogenea distribuzione, a fronte di gravissime epidemie come quella che sta affliggendo in questo momento l’India, è molto pericolosa perché, per sintetizzare con una frase che ho usato tempo fa, il gregge della famosa immunità da raggiungere è quello globale, non quello di questa o quella nazione. Per dirla con termini un po’ più precisi, poiché la comunità umana in cui viviamo è ormai quella globale, viste le connessioni fortissime e molto veloci con ogni angolo del globo, la corrispondente immunità di comunità non sarà mai a un livello sufficiente finché ci saranno paesi come Israele, in cui ormai la maggioranza della popolazione è vaccinata, e paesi come il Congo, ove lo è meno dello 0,1 per cento degli abitanti.

Siccome mi rendo conto che quanto dico può sembrare banale teoria o gratuito terzomondismo, vale la pena come sempre di guardare ai dati di un esperimento naturale che si sta svolgendo sotto ai nostri occhi, precisamente nel Regno Unito. Si tratta, come sappiamo, di una nazione che ha raggiunto ben prima di noi coperture vaccinali importanti; e infatti i decessi giornalieri e i ricoveri ospedalieri dovuti a Covid-19 sono ai minimi dalla scorsa estate. Nonostante questo, stanno emergendo delle sacche epidemiche a livello locale in cui i casi, molto recentemente, sono notevolmente in aumento. Nel periodo di due settimane terminato il 4 maggio, in media nel Regno Unito le nuove infezioni sono diminuite a circa una quarantina ogni centomila abitanti; eppure, in 28 località inglesi, 4 in Irlanda del nord e 2 in Scozia si osservano tassi di infezione almeno doppi rispetto a quello nazionale, e soprattutto in circa la metà di queste aree si è verificato un aumento, non una diminuzione dei casi, rispetto al periodo di monitoraggio precedente. Per esempio, Hyndburn nel Lancashire ha registrato circa 200 casi per 100 mila persone nelle due settimane monitorate, con un aumento del 211,5 per cento rispetto al periodo precedente. A Bolton, vicino Manchester, si è registrato uno dei maggiori aumenti di casi mai osservati; e vi sono altri esempi che indicano, a livello locale, una ripresa dei casi non spiegabile ovviamente con un differente tasso di vaccinazione o di diagnostica molecolare.

Come mai, nonostante un livello di vaccinazione ben superiore al nostro, si riaccendono focolai epidemici? Una possibile risposta è stata data dal sindaco di Manchester Andy Burnham, che a proposito del focolaio di Bolton ha riferito di come è possibile che l’innesco sia stato causato dall’arrivo di viaggiatori dall’India, paese che, per motivi storici, è come sappiamo molto legato al Regno Unito. La terribile epidemia che nell’ex colonia britannica sta travolgendo il sistema sanitario sembra pure associata a qualche variante più infettiva – non quella che inizialmente si sospettava, il famoso doppio mutante, bensì un’altra – ed è atteso che, ove giunga in un paese non ancora completamente vaccinato, si possano localmente accendere in maniera rapida nuovi focolai, soprattutto tenendo conto del fatto che molti hanno ricevuto una sola dose di vaccino e che la campagna di vaccinazione non è omogenea riguardo ai prodotti somministrati, che oltretutto hanno proprietà diverse per quanto riguarda la capacità di prevenire le infezioni.

Proviamo a estrapolare verso il futuro questi dati, sostituendo all’Inghilterra i paesi del mondo più ricco. Immaginiamoli tutti coperti anche più dell’attuale percentuale di vaccinazione del Regno Unito, e immaginiamo che invece nel terzo mondo il virus continui a moltiplicarsi, a uccidere e soprattutto a mutare. Quanto tempo credete possa occorrere prima che si abbiano focolai importanti di ritorno da quei paesi, con varianti più infettive e meno immunogeniche, come già sta accadendo in Inghilterra? Quanto pensate si possa stare sicuri, lasciando che il virus possa pascersi dei corpi di abitanti del mondo meno fortunati, ma molto più numerosi di noi, finché non tornerà indietro qualcosa di peggio di ciò che ci ha colpito all’inizio del 2020? Vogliamo forse confidare nel famoso “virus buono”? 

Rendere più omogenea possibile la copertura vaccinale nel mondo non è una scelta di sinistra o di destra; è una strategia necessaria per fronteggiare un replicatore darwiniano implacabile, insensibile al nazionalismo vaccinale.

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