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I livelli di istruzione in Italia sono cresciuti più lentamente della media dei paesi Ocse

Ott 3, 2022

AGI – Fra il 2000 e il 2021 i livelli di istruzione in Italia sono cresciuti più lentamente della media dei paesi Ocse. La quota di giovani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta infatti di 18 punti percentuali (dal 10% nel 2000 al 28% nel 2021) rispetto a una crescita in media di 21 punti percentuali. Lo rivela il Report dell’Ocse ‘Education at a Glance 2022 – Uno sguardo sull’istruzione’. L’Italia resta uno dei 12 paesi Ocse in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia di età. E’ un ritardo da tempo noto, ma non perciò meno preoccupante. Soprattutto alla luce del fatto che in tutti i paesi Ocse avere un titolo di studio terziario conviene perchè garantisce migliori livelli di occupazione e di retribuzione.

E’ vero, tuttavia, che il beneficio economico in Italia risulta minore che altrove: nei paesi Ocse in media un laureato nell’arco della vita lavorativa (25-64 anni) guadagna il doppio di chi non ha un titolo di istruzione secondaria superiore. In Italia questo vantaggio è meno cospicuo: 76% in più.

Il Report

Il nuovo Report e i principali dati sull’Italia sono stati presentati oggi alla stampa, nel corso di un evento organizzato congiuntamente da Ocse, Fondazione Agnelli e Save the Children, in contemporanea con la presentazione internazionale di Education at a Glance 2022, con la partecipazione in sala del ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. La presentazione si è svolta a Roma presso la sede di Save the Children.

Il rapporto è il principale compendio internazionale di statistiche nazionali comparabili che misurano lo stato dell’istruzione nel mondo. L’edizione di quest’anno include un focus sull’istruzione terziaria e copre anche l’impatto della pandemia di Covid-19 durante l’anno scolastico 2021/22. Il rapporto analizza i sistemi educativi dei 38 paesi membri dell’Ocse, nonchè Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Arabia Saudita e Sud Africa prendendo in considerazione indicatori come: la spesa pubblica e privata per l’istruzione; il vantaggio di guadagno dell’istruzione; ingresso e diploma di scuola superiore; stipendi legali ed effettivi dei capi di istituto; e gli stipendi degli insegnanti e i tempi di istruzione.

“L’analisi dell’Ocse – ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children – individua nodi critici che devono essere messi al centro dell’agenda del nuovo Parlamento e Governo. A partire dall’accesso all’università e dal mancato inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, con la conseguente perdita di talenti e la drammatica crescita dei giovani Neet.

L’investimento va fatto nella primissima infanzia

Tuttavia, le disuguaglianze nascono molto prima: già durante la scuola primaria gli esiti degli apprendimenti differiscono, seguendo le condizioni socioeconomiche familiari e territoriali, e questi divari non fanno che aumentare durante tutto il percorso di studi, favorendo la dispersione scolastica.

Per intervenire alla radice delle disuguaglianze educative è dunque necessario investire sin dalla primissima infanzia, con una rete di asili nido e servizi educativi di qualità accessibili a tutti”. “La definizione di un livello essenziale delle prestazioni – ha proseguito – per raggiungere il 33% della copertura dei servizi in ogni ambito territoriale e l’assegnazione di rilevanti risorse nell’ambito del Pnrr per la costruzione di nuovi asili rappresentano passi avanti significativi. Questo processo va monitorato anche per dotare le nuove strutture di personale educativo adeguatamente formato e per raggiungere prioritariamente i territori più deprivati, con un forte impegno nel contrastare sul nascere la povertà educativa”

“Il nuovo Report conferma una volta di più che dappertutto, anche in Italia, studiare conviene. In primo luogo – ha aggiunto Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli – per avere un lavoro e retribuzioni migliori. Ma anche perchè livelli d’istruzione più elevati sono, come sappiamo, correlati con una salute migliore, una maggiore partecipazione alla vita civile e capacità di comprendere l’altro. Per tutte queste ragioni dobbiamo fare crescere il numero dei nostri laureati, oggi ancora fra i più bassi nei paesi Ocse. Ma agire sui livelli di istruzione non basta: al di là del titolo, conta ciò che si sa davvero. Perciò è fondamentale fare crescere i livelli di apprendimento e di competenze dei nostri studenti, che soprattutto nelle scuole secondarie sono insoddisfacenti e peggiorati con la pandemia, nonostante la spesa pubblica per la scuola – infanzia, primaria e secondarie – sia allineata, se non talvolta superiore, alle medie europee e Ocse”.

“Malgrado il numero dei laureati sia aumentato in Italia negli ultimi 10 anni – ha osservato poi Daniela Vuri, prorettrice alla Ricerca Università di Roma – abbiamo ancora troppi pochi laureati soprattutto della triennale rispetto agli altri paesi europei: questo dipende dal fatto che solo un diplomato su due si iscrive all’università e i tassi di abbandono sono ancora troppo elevati. Investire sull’orientamento durante la scuola superiore può essere cruciale per compiere scelte consapevoli e vincenti. Garantire l’aumento del tasso di istruzione universitaria va tutto a beneficio del tessuto economico-sociale del Paese. L’orientamento – ha concluso – deve essere progettato già a partire dalla scuola secondaria di I grado e progetti specifici possono rivelarsi la chiave per avvicinare le studentesse alle materie Stem e colmare il gender gap nei salari che esiste nel mercato del lavoro”.

Pesa il divario territoriale

In Italia, il 92% dei bambini fra i 3 e i 5 anni frequentano la scuola dell’infanzia, un dato che colloca il nostro Paese al di sopra della media Ocse. Anche se bisogna ricordare il monte orario di insegnamento dell’Italia, inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1.071 ore) che si concretizza in una minore offerta oraria nelle regioni meridionali. Nei successivi gradi di istruzione il monte ore (744 alla primaria, 608 alle medie e 608 alle superiori) risulta comunque di poco sotto la media Ue (rispettivamente 740, 659 e 642). Ma è vero pure che sono presenti in Italia forti disuguaglianze territoriali nell’offerta di tempo pieno nei gradi inferiori, con le regioni del Sud in netto svantaggio rispetto a quelle del Nord.

Sopra la media Ocse, sia pure leggermente, si conferma anche nel 2021 la spesa cumulativa per il singolo studente della scuola dell’obbligo: per un ragazzo o una ragazza fra i 6 e i 15 anni spendiamo in Italia 105.750 dollari (calcolati a parità di potere d’acquisto, per tenere conto delle differenze del costo della vita fra i diversi paesi). Va osservato, tuttavia, che questo non si traduce in un’offerta di servizi e spazi scolastici uguale sui territori, dove esistono ampi divari, ad esempio, nell’offerta di tempo pieno, nella disponibilità di mense scolastiche o di palestre nella scuola primaria e secondaria di I grado. 

Dopo la pandemia sono aumentati i Neet

Il Report pone una particolare attenzione al nostro paese per quanto riguarda i giovani che non studiano e non lavorano, i cosiddetti Neet. Dopo essere salita al 31,7% durante la pandemia nel 2020, la quota di Neet tra i 25 e 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6% nel 2021.

Tale quota è diminuita tra il 2019 e il 2020 dal 28,5% al 27,4% per i giovani tra 20 e 24 anni, ma è poi aumentata fino al 30,1% nel 2021. Questa situazione, evidenzia il report, rischia di perpetuare il circolo vizioso che va dalla povertà economica a quella educativa, e viceversa.

 

 

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