• 7 Maggio 2024 10:49

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Genovese dalla cella: “Sono solo un indagato, presto uscirò da qui”

Gen 15, 2021

MILANO – La nuova vita di Alberto Genovese è una cella al quarto piano del carcere di San Vittore, venti metri quadrati divisi con altri cinque detenuti, due letti a castello e due singoli, il suo da solo vicino alla finestra. Dall’alba del 7 novembre, quando è stato arrestato dalla squadra mobile, il suo grande attico su due piani e piscina da 15mila euro al metro quadrato è chiuso. Sotto sequestro. E da allora la sua vita è qui, chiusa tra le quattro mura della cella e le poche ore d’aria, ora che anche l’attività sportiva in carcere è sospesa per l’emergenza sanitaria.

Dopo i primi giorni in cui sentiva il peso opprimente dell’astinenza da cocaina, le giornate in carcere sono progressivamente migliorate. E ora l’imprenditore delle startup, il genio bocconiano capace di creare dal nulla una fortuna imprenditoriale da centinaia di milioni di euro, appare sereno. «Sto bene, mi trattano bene. Non ho paura per il virus, cerchiamo di evitare ogni rischio di contagio» dice al consigliere regionale che ieri mattina ha deciso di varcare la soglia di San Vittore e fargli visita.

Felpa sportiva e pantaloni di tuta grigi, sneakers ai piedi, Genovese non dice nulla sull’inchiesta che l’ha travolto, anche se sa che se ne parla molto fuori. In cella la tv è accesa su un canale di musica americana, sui fornelli bolle una pentola che riempie l’ambiente di odori. Con gli altri detenuti, l’ex bocconiano sta preparando il pranzo. Il clima è rilassato, Genovese sembra in forma. Si dice convinto che i suoi giorni in carcere finiranno presto. «Penso che durerà poco per me qui, ci si prende una grande responsabilità quando si decide di applicare la carcerazione preventiva» dice, sottolineando di essere in carcere solo da indagato. Appare in uno stato fisico e psicologico molto diverso da quello che lui stesso ha descritto durante gli interrogatori. «È stata una spirale che mi ha messo sempre più in difficoltà – aveva detto ai magistrati dopo l’arresto -. Ogni volta che mi drogo ho allucinazioni e faccio casino, faccio cose di cui non ho il controllo, spero di non aver fatto cose illegali e spero di non farle. Non ho la percezione del limite esatto tra legalità e illegalità quando sono drogato».

Eppure fino all’esplosione dello scandalo, Genovese era considerato nella comunità finanziaria un imprenditore di successo, un mago capace di fare milioni da un’idea. Da allora però la sua posizione si è di molto aggravata. Alle accuse per lo stupro e il sequestro di oltre ventiquattrore di una diciottenne, tra il 10 e l’11 ottobre scorso, altre cinque ragazze hanno denunciato violenze. Episodi su cui il procuratore aggiunto Letizia Mannella e il pm Rosaria Stagnaro stanno portando avanti tutte le verifiche possibili. Insieme agli investigatori della squadra mobile, guidata dal dirigente Marco Calì, hanno sentito quasi duecento testimoni delle feste a base di stupefacenti a Milano e delle vacanze di gruppo all’estero. Per come sono stati raccontati o ricostruiti dai video sequestrati, i sei casi di presunte violenze sembrano ripercorrere tutti la stessa dinamica. Con l’uso di droghe che rendono incoscienti le vittime, lasciandole al risveglio con dolori su tutto il corpo e la sensazione di essere state violate. Nei «ricordi molto confusi» messi a verbale sulla notte con la diciottenne durante il party alla “Terrazza sentimento”, Genovese aveva parlato di soldi da corrispondere alla ragazza. Insinuazioni che la giovane ha subito smentito. «La parte dei soldi non è vera. Non ci siamo mai accordati» ha scritto in un messaggio whatsapp al suo legale, l’avvocato Luigi Liguori. E anche nelle ore di video delle telecamere della camera da letto, che documentano integralmente lo stupro, non c’è traccia di dialoghi sul denaro.

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