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Firenze, crollo Lungarno Torrigiani: troppi i responsabili, nessuno è colpevole

Dic 17, 2016

È stata con ogni probabilità la rottura di un tubo dell’acquedotto, con conseguenti forti perdite d’acqua, a provocare il 25 maggio 2016 il collasso del Lungarno Torrigiani e quella voragine che ha inghiottito decine di auto e le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. La frana del lungarno ha portato alla luce una situazione molto allarmante della rete fiorentina dell’acquedotto, risultato di “una sommatoria di decisioni e provvedimenti a carico di più soggetti istituzionali competenti: decisioni e provvedimenti che si estendono in un orizzonte di tempo pluriennale con livelli di responsabilità diverse e diffuse”. Ma se da un lato il rischio di altre rotture, di altre frane e di altre voragini è assai alto, con pericolo anche per la pubblica incolumità, l’esistenza di responsabilità diffuse fra un numero indeterminato di persone rende impossibile – secondo la procura di Firenze – identificare una specifica responsabilità penale in capo a ben determinate persone. Per tale motivo il sostituto Gianni Tei e il procuratore Giuseppe Creazzo chiedono l’archiviazione del procedimento aperto subito dopo il crollo per disastro colposo.

Nell’arco di sei mesi il Comune di Firenze e Publiacqua, la società pubblica che gestisce la rete idrica, sono riusciti con uno sforzo congiunto a ripristinare l’acquedotto e il lungarno, ma non sono arrivati – afferma la procura – “ad una valutazione congiunta e univoca circa le cause dell’evento, l’ambito delle responsabilità gestionali e personali, la valutazione dei rischi futuri, gli interventi necessari per prevenire tali eventuali situazioni di pericolo”.

Particolarmente censurabile – a giudizio della procura – è la perizia commissionata da Publiacqua ai consulenti Aiello, Spinelli e Paris, secondo i quali il collasso del lungarno non è stato causato dalla rottura dei tubi ma piuttosto avrebbe “forti correlazioni con una frana progressiva” della collina, una paleofrana riattivata essenzialmente dalle intense piogge del periodo gennaio – maggio 2016.

Una diagnosi molto allarmante per il pericolo di altri crolli e smottamenti della collina che sale verso il Forte Belvedere. E tuttavia – osserva la procura – i consulenti di Publiacqua non hanno ritenuto di dover interessare la Protezione Civile. In ogni caso la loro perizia è smentita dalle relazioni tecniche del Genio Civile, del Comune di Firenze e dei consulenti del pm e dalle note tecniche del Gruppo operativo regionale e del professor Nicola Casagli del Dipartimento di scienze della terra, che ha escluso movimenti e deformazioni precedenti e successive al crollo. La causa più probabile del collasso del lungarno – secondo questi tecnici – è la rottura del tubo in ghisa dell’acquedotto, risalente almeno agli anni Cinquanta e forse ancora più antico, e assai ossidato: “Rottura non rilevata dai sistemi di monitoraggio e la cui conseguente perdita d’acqua avrebbe saturato il terreno sottostante il lungarno, provocando quindi la frana”.

Ascoltata nel corso delle indagini, la nuova amministratrice delegata di Publiacqua Emanuela Cartoni ha fornito una serie di informazioni sullo stato dell’acquedotto fiorentino. L’Autorità nazionale per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico ha determinato in 40 anni la vita media delle reti di acquedotto e dei tubi. A Firenze la rete è assai più vetusta. L’acquedotto perde circa il 36% dell’acqua distribuita e non è distrettualizzato, il che rende più difficile una individuazione più precisa delle perdite. Ma nelle condizioni attuali di gestione del servizio Publiacqua non può sostituire le tubazioni in modo da centrare l’obiettivo indicato dalla Autorità nazionale.

Il risultato è irraggiungibile (“e quindi inesigibile ai fini penalistici”), perché “alle condizioni attuali di gestione del servizio e alla luce della legislazione vigente, ogni investimento

nella manutenzione straordinaria e nel miglioramento della rete idrica deve trovare la sua copertura esclusivamente nelle tariffe applicate all’utenza e quindi solo se venissero applicati incrementi – anche esorbitanti – delle tariffe stesse”. Il risultato di questa situazione è scoraggiante: senza grandi aumenti in bolletta è impossibile investire, ma se non si investe altre frane e altri crolli sono possibili, con rischio che ci vadano di mezzo delle persone.

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