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Corleone, i Riina non vogliono pagare le tasse. Le commissarie del Comune fanno scattare la diffida

Feb 15, 2018

Totò Riina, il capo dei capi di Cosa nostra, è morto da quasi due mesi, ma i suoi cari non rinunciano ai sacri (e criminali) principi di famiglia. Le tasse non si pagano. Mai un Riina ha pagato allo Stato. E, adesso, la famiglia del boss non vuole proprio saperne di pagare la tassa sui rifiuti, con tanto di arretrati: la vedova, Ninetta Bagarella, deve circa 600 euro; la figlia Lucia, circa 400. Da settembre, le tre commissarie che reggono il Comune dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose hanno inviato più di un sollecito, il messo non è riuscito neanche a consegnare la cartella esattoriale. Così, adesso, è scattata la diffida. Ultimo avviso. Se entro 120 giorni, non avverrà il pagamento, la pratica passerà automaticamente all’Agenzia delle Entrate, che provvederà – com’è prassi in questi casi – a un pignoramento o al blocco delle autovetture di proprietà dei morosi. A Corleone non era mai accaduto, nella precedente gestione del Comune era addirittura scattata una curiosa sanatoria fiscale per i mafiosi e le loro famiglie, che continuavano tranquillamente a non pagare le tasse.

Ora, invece, la musica è cambiata. E anche qualche famiglia di irriducibili si è adeguata alle regole. Ad esempio, la vedova dell’altro capomafia di Corleone, Bernardo Provenzano. La signora Saveria Benedetta Palazzolo doveva 1100 euro, ha chiesto di rateizzare e ha già pagato due quote. Un gesto che ha creato un certo scalpore in paese. Per gli onesti, un segno concreto di ritorno alla normalità. Totò Riina, invece, sarebbe andato su tutte le furie: non solo per il pagamento, ma anche di più per le rate. Lui, il capo dei cap,i lo ripeteva sempre negli ultimi tempi in carcere, negando di aver mai trattato con lo Stato: “Questo Provenzano è proprio un carabiniere, ma perché collabora con quella gente?”. Insomma, con lo Stato non si tratta. Neanche con una rata.

I Riina, invece, continuano a ripetere come un disco incantato di essere nullatenenti. E passano da un’intervista all’altra: le due figlie del padrino tengono a ribadire che non rinnegano il padre, e che nulla sanno dei tesori (mai sequestrati) di famiglia, quelli di cui il genitore parlava in carcere (“Se recupero pure un terzo di ciò che ho, sempre ricco sono”). Più che il toccante racconto di un figlio segnato da un triste destino,

sembra il lucido messaggio da fare arrivare a qualcuno (i prestanome del tesoro?). Intanto, Lucia, accompagnata dal marito Vincenzo Bellomo, si è concessa di recente un’altra trasferta lontano dalla Sicilia: nel Bergamasco, a Riva di Solto, per una mostra dei suoi quadri, una mostra molto particolare, si poteva partecipare solo su invito di un’associazione locale. Ufficialmente, un’iniziativa di beneficienza. Sembra che un anonimo benefattore abbia offerto una grossa cifra.

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