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Buoni fruttiferi postali, pioggia di rimborsi per molti risparmiatori

Lug 22, 2019

Il caso dei buoni fruttiferi postali è ancora aperto. E a giudicare dalle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario delle ultime settimane ce n’è abbastanza per parlare di vero e proprio pasticcio. In diversi contenziosi l’autorità sta infatti chiedendo Poste Italiane a restituire parte degli interessi non versati, ma dovuti, ai risparmiatori.

La vicenda si è riaperta nel febbraio scorso quando la corte di Cassazione, in una sentenza, ha legittimato una condotta che ha fatto infuriare migliaia di risparmiatori: abbassare il tasso di interesse dei buoni, anche con effetto retroattivo. Questo perché il Codice postale del 1973 lo aveva consentito. Nel 1999, invece, è stata abolita la possibilità di estendere le variazioni dei rendimenti (anche in senso negativo) ai buoni già emessi a protezione dei diritti dei consumatori.

Chi sono i risparmiatori interessati

Chi ha sottoscritto buoni prima del 1999 e, a maggior ragione, chi lo ha fatto prima del primo luglio del 1986 (quando è entrato in vigore il primo decreto ministeriale che ne declassava il rendimento) deve mettersi l’anima in pace. Questione aperta, invece, per chi ha investito in buoni fruttiferi dopo il primo luglio 1986. Il perché lo spiega l’avvocato Marisa Costelli, delegata per Milano dell’associazione Konsumer Italia: “Dopo l’entrata in vigore del decreto le Poste avrebbero dovuto emettere buoni della serie Q. Ma per un po’ di tempo hanno continuato a utilizzare vecchi moduli delle serie O e P che indicavano tassi superiori ma – di fatto – non più applicabili. La legge consentiva alle Poste di utilizzare, fino a esaurimento, solo i buoni della serie P (e non quelli della serie O) a patto però che l’impiegato apponesse due timbri, uno sul fronte e uno sul retro”.

Sul timbro frontale doveva essere scritto “Serie P-Q” mentre sul retro doveva riportare i nuovi rendimenti a trent’anni. “Solo che in molti casi Poste o non ha timbrato i vecchi buoni, o li ha timbrati in modo sbagliato indicando solo i nuovi interessi, ma non la rendita” continua Costelli, che ha ottenuto diverse vittorie sia giudiziali che all’Abf. E così migliaia di risparmiatori hanno pensato che la rendita sarebbe stata la stessa, salvo poi riscuotere, 30 anni dopo, una cifra nettamente inferiore a quella che si aspettavano.

Per fare tutto in regola usando i buoni P, precisa l’avvocato di Konsumer, Poste avrebbe dovuto realizzare tanti timbri quanti erano i tagli dei buoni (da 50.000 lire a 5 milioni di lire) perché la rendita varia in base al capitale investito. Invece ha deciso di andare al risparmio usandone solo uno con gli interessi dei primi vent’anni: lasciando inalterato il rendimento successivo dal ventunesimo anno fino al 31 dicembre del trentesimo dall’emissione. Andando incontro a una pioggia di ricorsi, tanto che sia la Cassazione sia, prima ancora, la Corte Costituzionale, hanno sancito che i moduli dei buoni fruttiferi postali equivalgono a dei veri e propri contratti. “In effetti in queste decisioni viene ripreso il concetto espresso dalla Cassazione nel 2007, e cioè che ‘carta canta’: l’Abf torna a riconoscere il ruolo contrattuale dei buoni che le Sezioni Unite avevano messo in secondo piano pochi mesi fa” spiega Aldo Bissi del comitato scientifico di Ridare, portale di Giuffrè Francis Lefebvre che affronta tutte le tematiche in materia di risarcimento del danno e responsabilità civile.

Costelli parla di “centinaia” di sentenze già emesse a favore dei risparmiatori (questa, ad esempio, è una delle tante. “In uno degli ultimi casi che ho seguito, il mio assistito ha ottenuto 38.000 euro di interessi che gli erano stati illegittimamente negati”. Ma come lui, spiega, ce ne sono molti altri che non sanno nemmeno di poter reclamare.

Cosa bisogna verificare

Ma come si può capire se ci sono possibilità di ricorrere all’Abf o in via giudiziaria con qualche possibilità di successo? Anzitutto bisogna rispolverare il vecchio buono fruttifero e leggere con attenzione:

  • La data di emissione: se è anteriore al primo luglio 1986 le possibilità sono scarse;
  • Se la data è posteriore, verificare la serie. Se è “O” è probabile che, in caso di contenzioso, l’Arbitro Bancario Finanziario dia ragione al risparmiatore;
  • Se la serie è “P” bisogna verificare che siano stati apposti i due timbri: “P-Q” sul fronte e la tabella di tutti i nuovi rendimenti della serie Q, di tutti i 30 anni.

Considerato che i rendimenti dei buoni fruttiferi postali degli anni ’80 erano molto alti perché collegati all’inflazione, fare questo controllo potrebbe consentire di recuperare cifre importanti. In ogni caso il consiglio, prima di agire, è sempre quello di rivolgersi a un professionista che conosca a fondo la materia.

“Il ricorso ad Abf ha un costo di 20 euro e non è necessaria l’assistenza di un avvocato, quindi può valere la pena provarci – è il parere di Bissi – ma bisogna ricordare che ogni caso è diverso: non è scontato che l’Arbitro decida in favore del risparmiatore. Anche perché c’è sempre una sentenza dello scorso febbraio secondo la quale Poste Italiane ha agito come un soggetto statale” e, in quanto tale, in base a una disciplina sovraordinata rispetto al diritto dei consumatori.

Dopo sentenze e decisioni dell’Abf, insomma, il nodo è sempre lo stesso: vale quello che c’è scritto sui buoni fruttiferi o quello che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale?

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