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In corsia giovani laureati e dottori fino a 70 anni, ecco la ricetta per coprire i buchi

Set 26, 2019

il piano delle regioni

La modifica delle norme sul “collocamento a riposo” dei dottori Ssn è infatti prevista nel documento, appena approvato dalla Conferenza delle Regioni, con le proposte al ministero per coprire i gap di personale.

di Barbara Gobbi

26 settembre 2019


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2′ di lettura

Tutti i medici in ospedale fino a 70 anni, ovviamente su base volontaria e previa valutazione aziendale. Richiamare in servizio camici bianchi pensionati era fino a oggi una delle ricette estreme messe in campo dalle Regioni per fronteggiare l’emergenza corsie vuote, ma domani potrebbe diventare una realtà per tutti. La modifica delle norme sul “collocamento a riposo” dei dottori Ssn è infatti prevista nel documento, appena approvato dalla Conferenza delle Regioni, con le proposte al ministero per coprire i gap di personale.

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In questo documento c’è di tutto dal punto di vista della “chiamata generazionale”: da una parte il ricorso a giovani medici laureati (e abilitati) ma non necessariamente nell’iter della specializzazione, dall’altra l’apporto di dottori “over 65”. Come? Con una «modifica normativa sui limiti di età per il collocamento a riposo del personale medico». Oggi i medici possono restare in servizio oltre i 65 anni fino al maturare dei quaranta anni di servizio effettivo, in ogni caso non oltre il 70° anno d’età. Nel concreto i dirigenti medici, raggiunti i 65 anni d’età o i 40 anni di servizio, devono cessare, ma in questo modo, ricordano dalle Regioni, vanno in pensione dottori «che raggiungono i 40 anni di servizio a 66-67 anni e vorrebbero ancora lavorare». Da qui la proposta dei Governatori: consentire a tutti i dirigenti medici di rimanere in corsia fino a 70 anni, allineando l’età di uscita con quella dei medici universitari. Le altre proposte. Sempre con legge e «per evitare l’interruzione di pubblico servizio» secondo la proposta delle Regioni diventerà possibile arruolare nel Ssn medici con contratti di lavoro autonomo, anche con altra specializzazione o senza diploma (fanno eccezione Anestesia, Medicina nucleare, Radiodiagnostica e Radioterapia). Inoltre si prevedono deroghe su base volontaria all’orario di lavoro e indennità per medici e infermieri disposti a lavorare in zone e servizi disagiati.

Sul piano della formazione, tutta da rivedere così come la programmazione dei fabbisogni, decollano i “teaching hospital”: per le borse di formazione specialistica regionali ci saranno contratti a tempo determinato di specializzazione e lavoro presso Asl e ospedali accreditati «in raccordo con l’università». Si accorcia da sei a cinque anni il corso di laurea in Medicina, che diventa abilitante, mentre alcuni corsi di specializzazione si adeguano alle durate minime europee. A spiegare il “piano anti carenza”, nato dichiaratamente per rendere possibile l’erogazione uniforme dei Livelli essenziali di assistenza in tutto il Paese, è il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini: «Proponiamo provvedimenti sia temporanei che strutturali e di sistema che implicano il coinvolgimento di più soggetti istituzionali. Quindi mettiamo a disposizione del ministero della Salute il documento per condividerlo, nella consapevolezza che siano necessari interventi immediati e quindi normative straordinarie e urgenti. Serviranno anche risorse aggiuntive per valorizzare con adeguati compensi le professionalità sanitarie rivolte alla guardia medica o in pronta disponibilità sanitaria e per aumentare i posti a livello nazionale nelle scuole di specializzazione. Infine vanno nel contempo valorizzati gli specializzandi, con più specifici obiettivi formativi, e le competenze delle professioni infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione».

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