Nell’Italia della grande crisi, come nel Nordest dei reduci degli “schei”, i fallimenti non si perdonano. O ce la fai, o ti togli di mezzo. La selezione della specie, nell’impero del consumo, è spietata. Seicentoventotto piccoli imprenditori suicidi in tre anni, tra il 2012 e il 2015, altri 193 fra gennaio e ottobre. In testa alla classifica, il Veneto. Non sono il fisco, lo Stato e la burocrazia, ad essere sotto accusa, non i grandi e i piccoli evasori che si appellano all’impresentabilità collettiva per giustificare la disonestà individuale.
Nel cinema Roma di Vicenza si parla di vulnerabilità personale e di indifferenza istituzionale, della mediocrità che ha conquistato i poteri, di un’esistenza precaria diventata cronica e generale. È una testimonianza, ma pure un omaggio ai caduti anonimi del Paese che non ce la fa. Gente umile e onesta, semplice e normale, spesso anziana, i protagonisti dell’esaurito modello Nordest affondato nei debiti. Inaccettabile, specie nella terra in cui il lavoro e il conto in banca sono il cuore di ogni persona.