• 5 Marzo 2025 5:13

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Gli anni blindati a Cosenza di Nicola Calipari. Il ricordo dei colleghi

Mar 4, 2025

AGI – Amava tanto il suo lavoro, così come amava tanto la sua terra. Chi ha lavorato con Nicola Calipari ricorda il suo valore professionale e umano. E anche chi oggi lavora negli stessi Uffici da lui diretti negli anni 80 a Cosenza, custodisce nell’album dei ricordi delle immagini indelebili di quel funzionario di Polizia che non faceva trapelare le sue preoccupazioni ed era sempre pronto a tutelare i suoi uomini. Il 4 marzo del 2005 Nicola Calipari fu ucciso mentre stava riportando a casa Giuliana Sgrena, la cronista del “Manifesto” rapita in Iraq dagli jihiadisti. A vent’anni dalla morte dell’agente del Sismi, la Calabria e la città di Cosenza ricordano l’uomo e il poliziotto che negli anni 80 era alla guida della squadra mobile di Cosenza, finendo nel mirino della ‘ndrangheta.

L’attuale questore di Cosenza, Giuseppe Cannizzaro, reggino come Calipari, lo aveva incrociato alcune volte e non ha mai dimenticato le sue qualità umane e professionali. “Nicola aveva, tra le altre, una qualita’ – ha raccontato Cannizzaro all’AGI -: il suo sguardo trasparente e buono attirava immediatamente la fiducia di chi entrava in contatto con lui. Era di Reggio come me e lì ho avuto occasione di incontrarlo quando non ero ancora in Polizia. E da quel momento ho cominciato a “seguire” con ammirazione la sua attività di Funzionario della Mobile di Cosenza, di Roma e il suo percorso nel circuito investigativo. È stato entusiasmante quando le nostre strade si sono incrociate durante alcune indagini, che mi portarono a trovarmi davanti a Nicola alla Squadra Mobile di Roma per discutere di strategie investigative. Mi sono ritrovato anni dopo davanti alla lapide che lo ricorda nella sede dell’AISE nel periodo in cui prestavo servizio lì. I casi della vita hanno voluto che io ogni giorno passi dinanzi alla targa che lo ricorda nel corridoio della Mobile di Cosenza. Era un grande funzionario e un grande uomo. Dico che una targa qui, dove ha lavorato, non può bastare.”

Gli anni in cui Nicola Calipari lavorava a Cosenza erano anni difficili per la città di Telesio. Erano gli anni della guerra di mafia, di tensioni e contrasti tra le diverse consorterie criminali. Quel clima di tensione lo ha respirato assieme a Calipari anche il sostituto commissario della Mobile di Cosenza, Francesco De Marco. De Marco, oggi in pensione, ha conosciuto bene Calipari e ha lavorato con lui in anni difficili e duri.  “Quando Nicola Calipari e’ arrivato a Cosenza – spiega De Marco – c’era una guerra in atto tra il gruppo capeggiato da Franco Pino e quello guidato da Perna. Erano le due ‘ndrine che si contendevano il controllo del territorio. Era il periodo compreso tra il 1985 e il 1989 ed erano frequenti gli agguati, i tentati omicidi, tante erano le tensioni. Ricordo, in particolare, una riunione che facemmo con alcuni ispettori di Roma e tutti noi rimanemmo colpiti dal comportamento di Calipari. A un certo punto dell’incontro, si alzo’ in piedi e disse agli ispettori: “Se dovete colpire qualcuno, colpite me”.

“Era solito per lui assumersi la responsabilità dei suoi uomini e difenderli da tutto e tutti. Era il classico poliziotto di strada. Da una prima impressione sembrava distaccato, invece Calipari osservava tutto e interveniva solo dopo aver ascoltato tutto. Gli anni dal 1985 al 1989 furono quelli più difficili e complicati, specialmente dopo la morte del direttore del carcere Cosmai con cui Calipari era molto amico. All’improvviso fu trasferito in Australia e la sua partenza fu motivata per ragioni di lavoro. Ma quando torno’ a Cosenza, – ricorda De Marco – era il 1988, capimmo subito la vera ragione di quell’allontanamento. Calipari fu messo sotto scorta e arrivo’ un’automobile blindata da Roma. Da quel momento la sua vita cambio’: era più pensieroso ed era anche normale perché aveva due figli e una moglie. Quando poi andò a Roma era più’ sereno e me ne accorgevo quando passavo dalla Capitale e andavo a salutarlo”.

De Marco non ha mai dimenticato quando quel 4 marzo apprese della sua morte: “Lo venni a sapere dagli organi di stampa. Nessuno di noi in Questura riusciva a darsi una spiegazione. Calipari amava molto la Calabria, non aveva mai dimenticato le sue origini. Prima aveva una casa a Cosenza, poi era stata venduta e veniva in vacanza a Camigliatello. Amava molto pure la cucina calabrese. Quando entro’ nei Servizi – conclude – era diventato più riservato e non sempre rispondeva al telefono”.  

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