• 22 Gennaio 2025 23:05

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Cybersecurity: Dal Cin, “con l’AI imprese italiane più sicure”

Gen 22, 2025

AGI – Non solo dazi, Trump e politiche commerciali. Cybersecurity e intelligenza artificiale la fanno da padrone ai lavori del World Economic Forum e sono argomenti di primaria importanza nell’agenda di ogni impresa, di ogni istituzione e di governo. Nel mondo, rileva il Job Report del Wef, il 77% dei Ceo sta pianificando di riorientare la propria attività proprio per cogliere le nuove opportunità derivanti dalla tecnologia. C’è insomma la percezione che il cambiamento stia arrivando e che anzi sia in atto. In questa direzione l’intelligenza artificiale costituisce un valido supporto per la cybersecurity: di fronte ai cyber attacchi, il mondo si sente più vulnerabile e si sta rendendo conto che è il momento di affilare le unghie. Ne parliamo con uno dei massimi esperti, Paolo Dal Cin, responsabile mondiale della business unit Security di Accenture, e che guida un team di 16 mila professionisti della sicurezza informatica. “E’ evidente a tutti che i due temi, la cybersecurity e l’intelligenza artificiale, siano strettamente correlati”, spiega osservando come si stia evolvendo rapidamente lo scenario globale e “il cosiddetto cyber space stia diventando sempre più complesso e pericoloso”.

 

 

L’Italia che si differenzia dagli altri Paesi occidentali per struttura produttiva, avendo un’economia principalmente basata sulle piccole e medie imprese, risulta essere più vulnerabile al cybercrime? “Vero che l’Italia sia caratterizzata da un tessuto produttivo legato alle pmi che in tema di cyberscurity non hanno lo stesso livello di capacità di investimento delle grandi imprese. Questo comporta il fatto che tali imprese hanno un profilo di rischio più alto, e di conseguenza anche l’intera struttura economica italiana”. Dal Cin sottolinea il tema delle supply chain, che sono maggiormente esposte a questo tipo di fenomeni. Vale a dire, spiega, “una grande impresa estera o italiana operante in Italia utilizza fornitori che sono delle pmi che purtroppo non possono investire tanto in cybersecurity, e in questo modo non solo se stesse ma anche l’intera filiera italiana corre questo particolare tipo di pericoli”. 

 

Secondo dati Istat, nel 2024, solo un terzo delle grandi imprese ha utilizzato tecnologie di intelligenza artificiale. E secondo l’ultimo report del World Economic Forum, al settore mancano attualmente fino a 4,8 milioni di professionisti della cybersecurity. Si sta investendo quindi poco… “Sempre secondo questo rapporto – sottolinea Dal Cin – solo il 14% delle imprese ha le competenze in tema di cybersecurity in grado di proteggere il proprio business. E’ una percentuale davvero bassa, quindi a causa di questo gap così rilevante, sono a rischio la sicurezza, i dati sensibili, i servizi e i nostri stessi cittadini. Quello che si deve fare e che in parte l’Italia già sta facendo, è dare gli strumenti di awereness, ossia di formazione per far sì che in ogni azienda ci siano delle competenze di cybersecurity all’interno del personale e magari individuare un responsabile di riferimento”.

 

Formare le competenze diventa un imperativo, insomma. “Sicuramente una maggiore sicurezza passa attraverso la competenza, la conoscenza, e quindi la formazione. Basti pensare il tema del phishing, vale a dire quando si colpisce la catena più debole all’interno di un’azienda, e quindi l’anello umano. In altri termini, un dipendente che non è competente in materia può essere oggetto di una frode o di un attacco informatico perché non sa come difendersi. Sono molto diffuse ad esempio le deepfake, che – prosegue Dal Cin – sono frodi in cui viene rappresentato un video o un audio una persona di nostra fiducia che ci chiede di effettuare pagamento o di effettuare un’azione che noi non faremmo se non fosse richiesto da una persona di cui non ci fidiamo o che non sia all’interno della nostra azienda. Oggi distinguere un deep fake da una persona reale non è così semplice, per questo bisogna mettere in condizioni il lavoratore di capire cosa gli stia succedendo”.

 

Il conflitto ucraino ha dimostrato al mondo intero come la cybersecurity rappresenti una priorità perché gli attacchi degli hacker sono stati all’ordine del giorno dal febbraio di tre anni fa, ormai. Si andranno intensificando? “Il conflitto nello cyberspace non andrà a sostituire gli altri ambiti, quello terrestro, aereo e marino ma si aggiungerà. La cyber warfare – prosegue Dal Cin – è diventata una realtà molto visibile: nel conflitto sono stati registrati attacchi a infrastrutture critiche nazionali come quelle elettriche e i gruppi degli hacker russi o filo hanno dimostrato molta capacita’ tecnologica e competenza nello sferrare questo tipo di attacchi. Quello che ci preoccupa è che questi gruppi filo russi non vanno a colpire solo la nazione con cui sono in conflitto ma in modo virtuale anche quei paesi che supportano l’Ucraina in questa missione come ad esempio l’Italia”. 

 

Quanto può essere strategico ricorrere all’intelligenza artificiale per garantire la cybersecurity? “Ormai l’AI oggi è a disposizione di tutti, quindi i cosiddetti motori di AI vengono utilizzati dalle aziende sia per fare innovazione, sia per migliorare il business sia per offrire servizi migliori ai clienti ma purtroppo vengono utilizzati anche nel darkweb o nel deepweb da chi punta a sferrare attacchi sempre più sofisticati. Ci sono motori di intelligenza artificiale considerati oscuri, ad esempio, perché utilizzano tecniche per incrementare i malware, i virus e incrementare così i cyberattacchi. Chi non ha competenze sofisticate per accedere all’AI e vuole compiere attacchi cibernetici si rivolge ad un ventaglio servizi a disposizione dei servizi gestiti, di cybercrime service insomma, e comprare un servizio criminale e averne un ritorno economico molto importante. L’AI quindi finisce per essere utilizzata dagli hacker per sviluppare un’economia sommersa e criminale. Quello che devono fare i governi e le aziende è invece farne un buon uso e indirizzare tali strumenti anche ai fini difensivi”.

 

L’intelligenza artificiale, in sintesi, come potrebbe essere usata come forma di contrasto al cybercrime? “E’ fondamentale per sviluppare una migliore capacità di individuazione tempestiva degli attacchi informatici, e per rispondere agli attacchi in modo più efficace, e avere sistemi di intelligence che possano percepire meglio quali saranno i prossimi raid che verranno sferrati contro infrastrutture, o realtà aziendali. Insomma, l’AI deve essere anche una forma avanzata di difesa per permettere a tutti di essere più sicuri”. Per essere ottimisti, quando tutto ciò potrà essere possibile? “E’ già una realtà per le grandi imprese internazionali, quello che dobbiamo fare ora è per così dire democratizzarla ossia renderla disponibile a tutti, medie e piccole imprese comprese. La strada del successo è quella, ne sono convinto”. 

 

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