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Saman: il fratello e il fidanzato temono di fare la stessa fine

Feb 17, 2023

AGI – Il dolore e la paura del fratellino di Saman, 16 anni all’epoca del fatto, irrompono nella Corte d’Assise di Reggio Emilia a segnare la seconda udienza del processo per la morte di Saman Abbas, la 18enne di origine pakistana uccisa a Novellara, nel Reggiano, per aver rifiutato un matrimonio combinato in patria.

Il suo corpo è stato ritrovato sepolto un anno e mezzo dopo a 500 metri dalla casa dove abitava. È lui, il fratello, il principale accusatore dello zio Danish Hasnain: vive ancora in una situazione protetta. “È tuttora certo che per aver parlato subirà la stessa sorte della sorella – spiega in aula il suo legale, Valeria Miari – ha subito pressioni in ambito familiare e vive una forte situazione di stress, legata proprio all’inizio del dibattimento. Mi ha chiesto di vedere il corpo, perché quel corpo è sua sorella”, ha riferito infine ai giudici il legale, opponendosi alla richiesta delle difese a che il giovane venga risentito in aula.

Stessa opposizione presenterà l’avvocato Cludio Falleti, legale del fidanzato Saqib, in quanto “provato per la morte della fidanzata e per aver subito minacce”. Potrebbe essere invece ascoltata (la corte si è riservata la decisione, il processo è stato rinviato al prossimo 17 marzo) la compagna di Danish Hasnain, che è ‘a sopresa’ in Italia e disponibile a essere sentita: “c’è un colloquio con Danish – ha spiegato l’avvocato di Danish, Liborio Cataliotti – quello che ho chiesto di tradurre nuovamente, di 16/17 ore dopo il fatto dove la donna chiede notizie di Saman. Quindi mi chiedo, gli inquirenti dicono ‘è già trapelato qualcosa’, bene glielo chiediamo. Sono riuscito a farla venire in Italia, chiediamo cosa in Pakistan si è saputo, chi ha fatto trapelare le notizie, e che notizie sono arrivate. Ce lo dica lei, l’ho inserita nella lista dei testi ma non le ho parlato del fatto, per non condizionarla”.

Il rischio, sottolinea il legale, è che la donna possa rimpatriare. Sempre il 17 marzo, si tornerà a discutere anche di Shabbar Abbas, il padre di Saman, assente al processo sull’omicidio della figlia per legittimo impedimento in quanto agli arresti a Islamabad. Per Shabbar è stata chiesta l’audizione in videocollegamento; nel frattempo l’udienza per l’estradizione è stata nuovamente rinviata in Pakistan al 21 febbraio.

“Noi chiediamo assistenza per la predisposizione di una videoconferenza per consentire ad Abbas di partecipare al processo – ha spiegato la presidente della Corte d’Assise, Cristina Beretti – i tempi non li possiamo stabilire noi, la richiesta sarà inoltrata al ministero per gli affari internazionali. Registriamo impedimenti anche per la data odierna, fissando una nuova data al 17 marzo 2023 nella speranza che qualcosa accada”.

Gli atti della richiesta della Corte dovranno essere tradotti in inglese, nella lingua del Punjab e in Urdu. La decisione, se partecipare o meno, spetterà comunque allo stesso imputato. Oggi in aula, alla seconda udienza del processo, erano presenti lo zio e i due cugini di Saman, mentre la madre resta latitante. Intanto la corte ha deciso sulle costituzioni delle parti civili: su 23 che ne avevano fatto richiesta, ne sono state escluse 13.

Tra le parti ammesse il fratellino e il fidanzato di Saman, Saquib Ayub, il comune di Novellara dove viveva la ragazza con la sua famiglia, e le comunità islamiche: Ucoii, la Confederazione islamica italiana e il Centro islamico culturale Grande Moschea di Roma. Si aggiungono l’Udi, Unione donne italiane, e l’associazione ‘Differenza Donna’. Tra gli esclusi, l’associazione Penelope e il comune di Berceto, l’unico in Italia ad aver dato, il 30 giugno 2021, la cittadinanza onoraria a Saman Abbas: requisito che però non è stato ritenuto sufficiente.

“Togliere voci a Saman in questo processo vuol dire contribuire sempre di più a mortificarlo; un processo già abbondantemente mortificato da quello che sta succedendo in Pakistan: certamente dal punto di vista sostanziale la cosa non ci preoccupa, perché faremo valere in maniera puntuale ogni singolo aspetto, ritenendo che gli imputati siano tutti responsabili dei fatti”. Così l’avvocato Riziero Angeletti, che rappresenta l’Ucoii.

“Il riferimento all’Islam è importante, ma d’altra parte il capo d’imputazione lo prevedeva. – spiega il legale – Contiene infatti una aggravante che attiene proprio all’impostazione pseudo-religiosa delle condotte degli imputati; quindi, non potevano non essere ammesse proprio quelle associazioni che sostengono la necessità di una integrazione e di uno smussamento degli integralismi religiosi, che si sono manifestati pienamente in questa vicenda”. “L’aggravante dei futili motivi – conclude il legale – consiste nell’aver determinato la morte di Saman per ragioni legale a uno pseudo orientamento religioso che è il matrimonio combinato, cioè la reazione al rifiuto di accettare il matrimonio combinato”. 

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