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Permafrost cruciale per la lotta al cambiamento climatico

Dic 17, 2016

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Sentendo parlare di “permafrost” si pensa quasi tutti a Mammuth conservati in un terreno fangoso del grande Nord. Il permafrost è invece uno stato fisico dei materialiper cui non solo i depositi delle pianure artiche, ma anche la roccia delle pareti delle montagne alpine sopra i 2500-2800 m, rimangono al di sotto della temperatura di 0°C per almeno due anni consecutivi.

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Tutti questi materiali però subiscono per la loro porzione più superficiale temperature positive per un certo periodo dell’estate e tale porzione è detta strato attivo. Lo strato attivo varia da poche decine di centimetri in Antartide e in parte nell’Artico a 6-8 m sulle nostre Alpi. Nelle grandi pianure artiche lo strato attivo e la parte più superficiale del permafrost sottostante possono contenere elevatissime percentuali di carbonio organico (Yedoma) o, più generalmente, contenuti anche relativamente bassi di sostanza organica (da 0.5 a 3-4%).

Se lo spessore dello strato attivo aumenta a causa dell’innalzamento della temperatura superficiale (specie estiva) del suolo ovviamente parte di questo carbonio può essere liberato in atmosfera sotto forma di CO2 ma soprattutto di CH4, gas serra molto più riscaldante del primo. Bisogna pensare che lo spessore dello strato attivo può variare da pochi centimetri a qualche decina di centimetri ogni estate, ma se pensiamo all’estensione areale del permafrost nelle terre emerse (da 23 a 25 milioni di km2) si può capire come l’aumento di un solo centimetro dello strato attivo possa liberare in atmosfera un minimo di 2 miliardi di tonnellate di Carbonio.

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Crediti: Kerstin Langenberger Photography

Lo spessore dello strato attivo varia al variare della temperatura del suolo, che solitamente dipende a sua volta soprattutto da tre diversi fattori. Il primo è la temperatura media estiva dell’aria; il secondo è lo spessore e la durata del manto nevoso in primavera e in estate; in ultimo la radiazione solare. Fortunatamente questi tre fattori spesso non sono sincroni e non agiscono nello stesso verso, per cui esistono diverse aree del mondo in cui lo strato attivo non mostra una tendenza al suo ispessimento neppure in un periodo di riscaldamento atmosferico. Al contrario esistono aree in cui nonostante la temperatura dell’aria non stia aumentando negli ultimi 30 anni (Terra Vittoria in Antartide) lo strato attivo si sta ispessendo alla velocità di 1 cm all’anno a causa dell’aumento della radiazione solare.

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Oltre al metano e CO2 che si possono liberare dallo strato attivo, un’enorme quantità di questi gas serra si può liberare anche da quelle aree di permafrost esistenti al di sotto del livello attuale del mare (in genere nei mari artici prossimi alle coste russe e nordamericane sino alla profondità di quasi 100 m). Contengono soprattutto metano e gas idrati (solidi – clatrati) se la temperatura del mare aumenta, e anche dal permafrost (anche profondo) che si sta degradando nelle aree artiche marginali o in prossimità dei laghi (molto diffusi e sempre più diffusi) nelle aree artiche dove – a causa dell’aumento della temperatura – anche in profondità il permafrost stesso sta sparendo.

Anche nel passato e in particolare tra 55 e 52.5 milioni di anni fa, sembra che uno degli eventi di massimo riscaldamento dell’atmosfera sia avvenuto (riscaldamento di circa 5°C sulla media del pianeta in pochi migliaia di anni) a causa di immissione di grandi quantitativi di gas serra e sia di imputarsi proprio al rilascio di migliaia di miliardi di tonnellate di carbonio dalla degradazione del permafrost.

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Fonte: science-soul

La degradazione del permafrost però non comporta solo il rilascio di carbonio con conseguente riscaldamento ulteriore dell’atmosfera, ma anche una serie di altri cambiamenti ecologici, ecosistemici ed ambientali di altissimo impatto e che saranno oggetto di future comunicazioni.

Mauro Guglielmin è professore di Geografia Fisica e Geomorfologia, Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate, Università degli Studi dell’Insubria. I suoi principali interessi di ricerca riguardano lo studio del Cambiamento Climatico e gli impatti di quest’ultimo sulla criosfera (permafrost e ghiacciai) sia nelle aree polari che in quelle alpine. Coordinatore internazionale del gruppo di ricerca ANTPAS (AntarcticPermafrost, Soils and Periglacial Environments) dello SCAR (Scientific Commitee on Antarctic Research e dell’international Permafrost Association.Coordinatore nazionale anche del Progetto PNRA “Ecologia del Permafrost in Antartide”.

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