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Sala, l’ira del sindaco: “Se è così lascio, stavolta non mi farò stritolare”

Dic 16, 2016

MILANO. È stata una domanda ricorrente, durante tutta la campagna elettorale. Cosa avrebbe fatto se avesse saputo di essere indagato? Ieri sera Beppe Sala ci ha pensato pochissimo, forse soltanto il tempo di capire, tecnicamente, che cosa volesse dire e che cosa dovesse fare. Alle dieci di sera ha chiamato a casa sua i collaboratori più stretti, un’ora e mezza dopo ha annunciato con un comunicato la sua decisione: “Mi autosospendo“.

Si torna così a quella domanda ossessiva, durante la corsa che lo ha portato a Palazzo Marino. Ai suoi ieri sera il sindaco l’ha detto senza giri di parole: “Faccio quello che ho sempre dichiarato, mantengo la parola, la mia dignità viene prima”. Durante le sue ore più lunghe da sindaco, racconta chi era con lui, la prima reazione era stata ancora più netta: “Mi dimetto, basta”. Perché lui è così, agisce di pancia. Istintivo, come spesso ha ammesso di essere. Un uomo amareggiato, anche, colpito da un provvedimento che non si aspettava, nonostante le indagini avessero toccato uomini che in Expo erano stati suoi stretti collaboratori. No, non se lo aspettava, Sala. Perché, aveva sempre rivendicato, “io sono sicuro di essermi sempre comportato in modo corretto: sarei un pazzo a candidarmi, altrimenti”.

Meno di tre ore. Per arrivare lì, a dettare quelle poche parole. Tre frasi per scolpire una scelta in cui si mescola rabbia per qualcosa che non immaginava e l’amarezza per vedersi tornare addosso quei due anni, pesantissimi, che hanno segnato l’inizio dell’inchiesta su Expo. “Dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutto quello che ho passato, se devo tornare a quel punto, allora lascio, non mi faccio stritolare ancora una volta”, lo sfogo con i suoi. Che, conoscendolo, non hanno forse neanche provato a fargli cambiare idea: troppo deciso, sin da quando, in serata, ha saputo dalle prime telefonate che il suo nome era tra i nuovi indagati.

Il sindaco lo ha saputo dopo dopo le otto di essere indagato, appena uscito da corso Monforte, il palazzo della prefettura dove il prefetto Alessandro Marangoni aveva fatto il tradizionale brindisi natalizio, annunciando – tra l’altro – che a fine mese andrà in pensione. E proprio dal prefetto questa mattina tornerà per consegnare la sua “autosospensione”, che trasferirebbe i poteri da sindaco, provvisoriamente, alla sua vice Anna Scavuzzo, anche se la procedura giuridica è da chiarire. A tarda sera c’era anche lei a casa del sindaco, nel centro di Milano, assieme a poche, fidate persone. Il giovane capo di Gabinetto Mario Vanni, diventato la sua ombra in campagna elettorale, e poi Roberto Arditti, Stefano Gallizzi e Marco Pogliani, i comunicatori.

Teso, preoccupato per i riflessi che la notizia dell’indagine a suo carico potrà avere su Milano, proprio adesso che l’immagine della città brillava più che mai e che, con la burrasca post referendum, bisognava lavorare il doppio per portare a casa le promesse del governo sugli investimenti. È stato proprio questo un argomento che qualcuno ha provato a usare, per convincerlo a desistere: “Pensa alla città, sei il sindaco di una comunità”. Ma Sala è stato irremovibile. Prima di decidere avrebbe cercato l’ex premier Matteo Renzi e ha sicuramente parlato con il ministro che gli è stato più vicino in tutto il suo percorso, dai tormentati di Expo alla candidatura, Maurizio Martina. A tutti ha comunicato la sua scelta. Ma nel carattere del sindaco-manager c’è anche la tendenza a decidere in autonomia. C’è stata un’altra volta in cui Sala ha pensato di fare un passo indietro. Era maggio del 2014, subito dopo gli arresti che hanno rischiato di travolgere l’evento. Allora, ha raccontato, a convincerlo a restare alla guida di Expo fu il presidente Napolitano con una telefonata. Ma ieri no. Sono arrivate quelle poche parole, pesate, nel comunicato ufficiale. Che però lasciano trasparire quello che il sindaco fa capire ai fedelissimi. Non ha nessuna voglia di buttarla in politica – ipotizzando complotti a suo

danno – ma neanche di rifarsi alle frasi standard, quelle che di solito si ripetono. Tanto che il primo sfogo con gli amici, a caldo, è stato diretto: “No, non dirò che non ho fiducia nella magistratura, ma neanche il contrario”. Piuttosto, quella decisione netta, come un dente da togliere. Ma anche una mossa di orgoglio. Autosospendersi, subito. Senza neppure lasciare lo spazio ad attacchi o a speculazioni. Cercando nel frattempo di capire come difendersi.

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