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Covid, nella rsa a Bari sono morti 27 anziani: “La strage di Villa Giovanna poteva essere evitata”

Feb 2, 2021

È il 16 marzo del 2020. E sui balconi della rssa Villa Giovanni nel quartiere San Girolamo va in scena un flash mob: operatori e anziani sventolano le loro mascherine. Sono vicini l’uno all’altro, “senza rispetto delle misure di distanziamento ” . C’è anche questo episodio nelle indagini della Procura della Repubblica di Bari, che ha chiesto l’arresto per i manager del gruppo Segesta al quale la struttura di Bari e la Nuova Fenice di Noicattaro fanno capo. Una inchiesta nata dopo la segnalazione di due focolai scoppiati nelle residenze sanitarie assistite nei mesi della prima ondata. È Villa Giovanna la struttura che paga il prezzo più alto con 130 casi di Covid (93 tra gli ospiti) e soprattutto con 27 vittime, tutti anziani. Adesso le indagini, condotte dai Nas e coordinate dal procuratore Roberto Rossi, sono approdate a un punto fermo: il focolaio poteva essere evitato se soltanto le misure precauzionali fossero state adottate.

La richiesta del pm

Gli accertamenti dei carabinieri raccontano di dispositivi di sicurezza insufficienti, di operatori invitati a consultare Internet per capire come indossare correttamente tute e mascherine, di “evidenti criticità – accusa Rossi – tanto sul piano della gestione del personale, tanto nella gestione della struttura e dell’approvvigionamento di Dpi ” . La richiesta di arresto ai domiciliari per il reato di epidemia è stata formulata per Federico Guidoni e Catina Piantoni, legali rappresentanti della Segesta Mediterranea; per Michele Di Tommaso e Tiziana Caselli, rispettivamente coordinatore sanitario e coordinatore gestionale della rssa Villa Giovanna, e per Nicoletta Ricco, coordinatore gestionale della Nuova Fenice. E dopo un primo no da parte del gip adesso dovrà essere esaminata dal tribunale del riesame, al quale la Procura, dopo il provvedimento di rigetto, ha fatto ricorso. Le accuse sono pesanti. ” La trascuratezza e la noncuranza degli organi dirigenziali della struttura – scrive il pubblico ministero – hanno peraltro colpito la categoria più fragile in ragione dell’età avanzata e delle patologie pregresse, nonché la prima che andava tutelata e protetta, con la consequenziale registrazione di ben 27 decessi di persone che sebbene affette da patologie pregresse sono risultate positive al virus”.

Le criticità

Un infermiere che per un periodo ha lavorato nel reparto Covid del Policlinico e che poi è risultato positivo al Covid sarebbe stato fatto rientrare in servizio a Villa Giovanni dopo soltanto 12 giorni di isolamento e senza essere sottoposto ad alcuno screening. A un addetto delle pulizie la positività al test sarebbe stata comunicata in ritardo, invece, cioè dopo quattro giorni. E ancora: Michele Di Tommaso, coordinatore di Villa Giovanna e La Nuova Fenice, il 28 marzo ha appreso di aver contratto il Covid, ma non è mai stato sostituito. Circostanze che portano la Procura a una conclusione: ” Se fossero state adottate le misure necessarie a evitare il contagio, il virus – ragionano i magistrati – non avrebbe avuto una diffusione incontrollata e i residenti, isolati all’interno della residenza, non si sarebbero ammalati in una percentuale così elevata ” . La mancanza di dispositivi di sicurezza o di altri accorgimenti ha fatto il resto. Le mascherine chirurgiche venivano consegnate agli operatori sanitari, educatori, fisioterapisti e addetti alle pulizie che ne facessero richiesta a inizio turno ed ” esclusivamente nel caso in cui presentassero dei sintomi quali tosse, raffreddore o febbre; in presenza, invece, di richieste ripetute da parte di operatori asintomatici, la coordinatrice gestionale, Tiziana Caselli. sconsigliava l’uso delle mascherine perché potevano suscitare panico e allarme fra gli ospiti”. E forse non è un caso che il 16 marzo nel flash mob improvvisato sui balconi di Villa Giovanna, e pubblicato sulla pagina Facebook della struttura, gli anziani non indossassero alcun dispositivo di protezione. Dodici giorni più tardi nella struttura viene scoperto il primo caso. Agli atti dell’indagine ci sono le dichiarazioni di alcuni operatori. ” Inizialmente il personale sanitario ha trattato gli ospiti utilizzando le tute in Tnt e non quelle specifiche Covid, che ci sono state consegnate nei giorni di Pasqua “, ovvero una settimana dopo la scoperta del focolaio, fa mettere a verbale un dipendente. E un altro suo collega aggiunge: “Non abbiamo fatto alcun corso di formazione e informazione sull’uso dei Dpi e sul tema Covid- 19. Ci fu raccomandato soltanto di cercare di distanziare gli ospiti quanto più possibile”.

La Nuova Fenice

Più o meno stessa situazione nella rssa Nuova Fenice di Noicattaro, dove fra il 28 marzo e il 4 aprile venivano diagnosticati 84 casi di cui 32 tra gli operatori e 52 tra gli ospiti. E sono stati alcuni dipendenti a raccontare come a febbraio e almeno fino alla prima metà di marzo gli anziani abbiamo vissuto in ” situazioni di promiscuità ” senza indossare la mascherina, né durante la consumazione dei pasti né durante le attività ludico ricreative. Emblematico un episodio legato alla Ffesta del papà, quando gli ospiti, disabili e non, hanno partecipato nella sala comune alla preparazione delle zeppole. ” Circostanza in cui, evidentemente, non era stato possibile rispettare il previsto distanziamento”.

La consulenza

L’inchiesta si basa anche su una consulenza che la Procura ha affidato al professore Silvio Tafuri. Una consulenza che ha permesso di accertare come, scrive l’esperto, il focolaio epidemico a diffusione esponenziale non sia stato bloccato da ” interventi ” specifici, ma per esaurimento dei soggetti più sensibili al virus. Una situazione verificatasi perché nessuno, fra i dirigenti della struttura, si è adoperato per evitare la diffusione del contagio. Dopo la scoperta della prima positività, accusa ancora la Procura, ” sarebbero dovuto partire i provvedimenti di tracciamento, identificazione dei contatti, isolamento di operatori sanitari e ospiti, che non risultano evidentemente adottati. Questo non avrebbe evitato la generazione della seconda ondata di casi (diagnosticati fra il 4 e il 6 aprile), ma avrebbe interrotto la terza generazione di casi ( quelli diagnosticati tra l’11 e il 16 aprile). Si può stimare che il numero di casi di Covid- 19 evitabili con appropriate azioni di contenimento risulti di 94 ( ovvero tutti i casi di terza o successiva generazione)”.

Il no del gip

La richiesta del pm è stata respinta dal gip Marco Galesi. ” Mancano accertamenti – rileva il giudice – che consentano di ritenere perduranti le carenze individuate in quel particolare periodo in cui l’emergenza sanitaria è esplosa all’interno delle Rssa. Anzi, da alcuni elementi probatori sembrerebbe possibile desumere il contrario e cioè che almeno per alcuni aspetti, come quelli riguardanti la fornitura dei Dpi, nel corso dell’emergenza vi sia stato un cambio di approccio ” . La parola ora passa al Riesame.

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