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-1 giorno. Domani la nuova Repubblica

Nov 21, 2017

La Repubblica che tenete in mano cambia, perché cambia il mondo attorno a noi. È cambiata l’Italia, è cambiato il ritmo dei fatti e il tempo della loro narrazione, è cambiato ciò che raccontiamo. Così da domani cambieremo anche noi. Lo facciamo proprio per rimanere noi stessi, perché Repubblica non è un luogo determinato e immobile, ma è sempre stato un viaggio e continuerà a esserlo. Un viaggio nelle notizie, un viaggio fra i protagonisti del nostro tempo, un viaggio dentro la politica, la cultura, il mondo. Un viaggio fatto assieme ai lettori, abbracciati a un giornale che è un organismo vivo e fa parte della vita del nostro Paese e di chi lo legge.

È un giornale che non è mai stato neutro, neutro è solo il sapone, ma è un giornale che non si riduce a una linea. No, porta con sé una natura, un’anima, un’identità. È una lente che ogni giorno ci consente di guardare il mondo con altri occhi e tenta di decifrarne la complessità. Una lente che, proprio per conservare intatto il punto di vista, si evolve nel tempo, contagiandone la grafica – che non è un elemento solo estetico ma uno strumento giornalistico vero e proprio – e il contenuto. Una lente che ingrandirà le idee, dando più spazio ai commenti, al confronto e ai dubbi. Una lente che ci dice oggi che le domande a cui dobbiamo rispondere non sono domande semplici, anche se all’apparenza lo possono sembrare.

Così, mentre la visione binaria del mondo prevale, mentre il tifo si sostituisce all’analisi, mentre sempre più persone si convincono che la ragione stia da una parte, sia bianco o nero, Repubblica prova a rimettere il colore, la sfumatura al centro della sua narrazione. La campagna di lancio del nuovo giornale parte da questo. L’avete vista in questi giorni sulle nostre pagine scandire il conto alla rovescia verso la nuova Repubblica in edicola, che ci sarà da domani. L’avete vista animarsi sulle televisioni. L’avete ascoltata in radio. I protagonisti sono i dubbi e le ambiguità del nostro tempo. Ci si mostrano con il volto di un leader politico, piuttosto che con lo sguardo sorridente di un bambino, con l’enigmatica sagoma di un robot o ancora con un bacio scambiato fra due uomini, due soldati, in tenuta da guerra. Sono immagini che ci pongono degli interrogativi, ci spingono a una scelta. Una scelta che, a prima vista, può sembrare banale, semplice. Nella logica del tifo, dello schierarsi a ogni costo forse anche lo è: pro o contro Renzi, pro o contro Berlusconi, pro o contro Grillo. Facile dirselo. Facile ossessionarsi alla propria verità granitica e odiare l’altro per difenderla. Ma se guardiamo con maggiore attenzione, se apriamo il cervello alla complessità che i tempi richiedono, ci rendiamo presto conto che quegli interrogativi non sono affatto semplici da decifrare. Perché contengono una piegatura nascosta, una sfaccettatura, un angolo in ombra della società dell’oggi che ci spinge, magari quando siamo soli, a barrare l’altra casella: per rabbia, per rassegnazione, per vendetta contro un mondo che sembra non darci più certezze.

L’abbiamo scelta proprio per questo, perché fa male. Fa male pensare che la risposta non sta in nessuna delle due affermazioni. E che spetta a noi, forti della nostra natura, della nostra storia, provare a decifrarla. Schivando la banalizzazione del bianco e nero per guardare di nuovo il mondo a colori. Anche se sono colori che non avremmo voluto in tinta così forte. Anche se sono colori da contrastare, da combattere, aprendo la mente al futuro, cercando dove gli altri non cercano più.

È con questo spirito che Repubblica da domani continua il suo viaggio. Un viaggio cominciato proprio di mercoledì, come mercoledì sarà domani, di 41 anni fa. Quel 14 gennaio 1976 quando il fondatore Eugenio Scalfari seminò il germe dell’innovazione (il formato era berlinese, le colonne erano sei, la terza pagina raddoppiava e si spostava al centro) nel vostro giornale, un germe che contagiò per sempre Repubblica e i suoi lettori. La portò a sfidare il futuro, spesso rischiando, e a rinascere nella Repubblica di Ezio Mauro, che per prima scioglie la narrazione quotidiana nell’approfondimento settimanale, mutando il codice stesso del giornalismo italiano.

Noi possiamo solo dire grazie alla nostra storia ed essere coscienti che ora tocca a noi provare a fare un altro passo in nome di questa storia. Noi non cambiamo perché Repubblica è invecchiata, ma per la ragione opposta: perché il vostro giornale ci chiede ancora una volta di essere se stesso e mettersi alla prova. Sapendo che potremmo anche non riuscire a vincere la sfida di quelle domande. La sfida di chi vuole superare la visione binaria del mondo.

Per provarci davvero, però, abbiamo una strada: confrontarci con la nostra identità e con il nome che portiamo. Perché quel nome lassù ci metta paura. Ogni volta che chiudiamo un articolo. E ci chiediamo: «Ma abbiamo fatto abbastanza per rispettare la nostra storia?».

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