• 2 Maggio 2024 13:47

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“Vi racconto il mio Giovanni morto schiacciato da un ramo per guadagnare 10 euro”

Gen 30, 2020

CUSTONACI (TRAPANI) – “Giovanni aveva 21 anni – sussurra mamma Cristina – sognava di aprire una partita Iva e fare il giardiniere.

Invece, è morto per dieci euro, tanto gli avrebbero dato per la legna che aveva raccolto. Ucciso da un lavoro precario e senza sicurezza”. Il 7 gennaio, Giovanni Biondo – Nanny per gli amici – è stato schiacciato da un grosso ramo mentre potava un albero.

Tre giorni prima, aveva postato un video su Facebook: “Sicilia terra di meraviglie, ma di poche speranze”. Cosa vedeva Giovanni nel suo futuro?

“Quel video ha colpito tanto anche me, una ragazza dice: “Cara Sicilia, sei riuscita a farne scappare un altro, che è dovuto emigrare”. Mio figlio, invece, voleva restare a tutti i costi nel suo paese, a Custonaci. Voleva riempirlo di alberi e fiori. Era davvero bravo a ridare vita a terreni abbandonati e sommersi dal degrado”.

Qualche giorno fa, ha acceso il computer di suo figlio e ha iniziato a scrivere una lettera, che poi ha inviato alla redazione di “Repubblica”.

“Vorrei dire che non si può continuare a morire per lavori svolti senza le più elementari condizioni di sicurezza. Bisogna urlarlo forte. Alle istituzioni, ai politici, agli imprenditori: svegliatevi. Il mio piccolo uomo non meritava quella fine e adesso non può diventare l’ennesimo numero di una statistica che cresce ogni giorno di più”.

Quando ha visto l’ultima volta suo figlio?

“Il 7 gennaio, Giovanni si è svegliato di buon mattino, abbiamo fatto colazione tutti insieme. Poi, ci ha salutato con il suo solito sorriso. Si arrangiava come poteva con il lavoro: in questo momento mio marito e l’altro figlio, che di mestiere fanno i pizzaioli, sono disoccupati. E Giovanni diceva: “Non vi preoccupate, penso io alla famiglia””.

Che lavoro doveva fare quella mattina?

“Una signora l’aveva ingaggiato per potare dei pini. Era contento perché andava a lavorare vicino casa, magari sarebbe tornato prima del solito, avrebbe avuto più tempo per stare con la fidanzata, la sua “cuccola”, così la chiamava”.

Poi, cosa è accaduto?

“Intorno alle 8, è arrivato un messaggio sul telefonino. Mi dicevano: “Corri che Giovanni si è fatto male”. Con mio marito ci precipitiamo nel terreno, appena un minuto di strada. E cominciamo a cercarlo. Penso: sarà seduto da qualche parte, con un braccio o una gamba rotti. Invece, era steso per terra, con gli occhi spalancati e il sangue che gli usciva dalla testa”.

I soccorsi sono stati veloci?

“Nel giro di pochi minuti sono arrivate due ambulanze, la seconda col medico, che ha provato a rianimare Giovanni per quasi un’ora, ma non c’era più nulla da fare. Quando la dottoressa ha alzato lo sguardo, ho capito. E in un attimo tanti pensieri hanno iniziato a rincorrersi. Dicevo fra me e me: ora come faccio a telefonare alla ragazza di mio figlio. Stavano insieme da tre anni, avevano tanti progetti. No, non può essere vero che Giovanni non ci sia più. È tutto così assurdo”.

È stata aperta un’indagine sulla morte di suo figlio. La procura di Trapani ha incaricato i carabinieri di Custonaci e l’azienda sanitaria di fare tutti gli accertamenti, sembra che la committente del lavoro non avesse approntato le necessarie misure di sicurezza.

“Il racconto dell’amico che lavorava con Giovanni ha permesso di ricostruire cosa è accaduto. Ma qui la posta in gioco è molto più alta di un’inchiesta. In Sicilia si continua a morire per la mancanza di sicurezza sul lavoro, è un sistema che sta schiacciando i nostri giovani. E ora ho paura per l’altro mio figlio e per mio marito”.

Perché?

“Anche loro sono disoccupati, e anche loro si arrangiano con qualche lavoretto. Come posso stare tranquilla nel sapere che rischiano di non tornare più, visto che qui di lavoro ce n’è poco, e quel poco è senza sicurezza. In Sicilia la situazione è disastrosa. E intanto io a 40 anni attendo una chiamata dall’ufficio di collocamento, che non è mai arrivata, nonostante sia iscritta alla categoria protetta, con il 47 per cento di invalidità per un occhio perso a 5 mesi, a causa di un tumore”.

Cosa bisognerebbe fare, secondo lei, per avere più sicurezza nei luoghi di lavoro?

“Ci vorrebbero più controlli, ma il mio grido di dolore è rivolto a tutti: nessuno può girarsi dall’altra parte; nessuno può dire “questo tema non mi riguarda”. Tutti dovremmo chiedere che non accada più, tutti dovremo rivoltarci contro quello che è ormai un sistema. Solo così Giovanni non sarà morto invano”.

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