• 25 Aprile 2024 16:57

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“Una squadra”, Procacci racconta (e psicanalizza) il dream team che vinse la Davis

Nov 29, 2021

AGI – Cosa può spingere un produttore di successo a cimentarsi per la prima volta dietro la macchina da presa? La passione, naturalmente. Quella per il tennis, da giocatore e spettatore, nel caso di Domenico Procacci che con la sua Fandango ha prodotto una sfilza di film cult, quelli di Nanni Moretti ma anche, non a caso, ‘La profezia dell’Armadillo’ dove Adriano Panatta spiegava il magico “pof pof” che nasce dell’incontro tra racchetta e palla.

La genesi di “Una squadra” la prima docuserie del produttore, che scritta con Lucio Biancatelli e Sandro Veronesi è stata presentata al 39° Torino Film Festival e a maggio sarà su Sky è così spiegata. Nel momento in cui il tennis italiano ha finalmente trovato altri giovani moschettieri a cui affidarsi, in scena proprio a Torino nella versione rinnovata (e privata del suo antico fascino) della Coppa Davis, il produttore-tennista-neoregista con filmati d’epoca  e interviste che sembrano sedute psicanalitiche e che mettono in luce le differenze caratteriali e i rapporti complicati e conflittuali, racconta la squadra che nel ’76 vinse l’insalatiera nell’ormai mitologica finale in Cile.

Attraverso le testimonianze incrociate di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli e capitan Nicola Pietrangeli i sei episodi raccontano la storia della nazionale italiana di tennis che ha vinto la Coppa Davis nel ’76 e che negli anni successivi ha raggiunto la finale altre tre volte. 

Un gruppo eterogeneo, composto da personalità fortissime, con rapporti a volte molto conflittuali, ma, in quegli anni, la squadra più forte del mondo. Gli anni affrontati dalla serie vanno dal 1976 al 1980, quando il dream team raggiunse la finale quattro volte, vincendo solo nel ‘76 contro il Cile, in un incontro attorno al quale si si creò un vero e proprio caso politico, con enormi polemiche sull’opportunità di andare a giocare con i colori dell’Italia nel Cile del dittatore Pinochet e la celeberrima maglietta rossa sfoggiata provocatoriamente dagli azzurri in campo, un’idea di Panatta (“mi fece una testa così, ha appena rievocato Bertolucci, per farlo star zitto sarei sceso  campo anche in mutande”). 

Nelle prime due edizioni, ‘76 e ‘77, la squadra ha avuto come capitano non giocatore la leggenda del tennis italiano, Nicola Pietrangeli, poi clamorosamente esonerato dalla  stessa squadra dopo la sconfitta del ‘77 in Australia. È lui il decisivo quinto protagonista della docuserie, nata così: “Procacci, profondo conoscitore di tennis e anche grande amico di Panatta mi ha contattato un anno fa, dopo aver letto il libro ‘1976, Storia di un trionfo’ che avevo scritto con Alessandro Nizegorodcew – racconta all’AGI il co-autore Lucio Biancatelli – da lì è iniziato un grande lavoro di ricerca,  su giornali, sul materiale radiofonico ma anche, per quel che riguardava le questioni politiche della contrastata finale nel Cile di Pinochet, nell’archivio di Giulio Andreotti e in quello della Farnesina”. 

Poi sono cominciate le interviste ai protagonisti: “Più che interviste  sono state degli interrogatori, tutti e cinque sono stati messi sotto torchio per due giorni ciascuno”, chiarisce. Ne esce un racconto che scava nella psicologia dei protagonisti e nei rapporti mai facili tra di loro. I ricordi e le ammissioni di colpa di Panatta,  leader del gruppo (“Diciamolo, potevo battere chiunque, ma ero insopportabile”) si incrociano a quelle del compagno di squadra caratterialmente antagonista Barazzutti  (“non è necessario essere visibile a tutti i costi…”) a quelli di Bertolucci, protagonista del mitico doppio con Panatta (“Eravamo una squadra di fenomeni e io e Adriano sempre insieme, facevamo una vita da marito e moglie”)  e a quelli di Zugarelli che ammette la sua irascibilità dell’epoca. 

Mentre Pietrangeli svela che i quattro a volte neanche si parlavano, divisi anche nello spogliatoio, Panatta e Bertolucci da una parte, gli altri due dall’altra. E lui, il capitano esonerato dalla stessa squadra dopo la sconfitta del ’77 in Australia? “Nicola trattava con i principi, con i re”, scherza e neanche troppo Barazzutti, rievocando la predilizione per la coppia Panatta -Bertolucci. Questioni di punti di vista. Panatta sottolinea che “Nicola era Nicola… non ha avuto mai una parola gentile nei nostri confronti”.

Uno degli aspetti divertenti della serie, sottolinea Biancatelli, sta nella differenza delle versioni tra i cinque. “Pietrangeli ci ha raccontato che un po’ di tempo dopo la sua cacciata, vissuta come un tradimento, Panatta gli chiese perdono mettendosi anche a piangere. Episodio che Adriano invece nega”. Perché i cinque erano diversi e hanno anche ricordi personalizzati. Ma vincevano, nonostante tutto. La frase chiave che spiega come quattro tennisti con un’alchimia così sgangherata ce l’abbiano fatta la pronuncia proprio Panatta: “C’era una stima anche come persone, perché al di là delle differenze caratteriali noi eravamo una squadra”.

AGI – Cosa può spingere un produttore di successo a cimentarsi per la prima volta dietro la macchina da presa? La passione, naturalmente. Quella per il tennis, da giocatore e spettatore, nel caso di Domenico Procacci che con la sua Fandango ha prodotto una sfilza di film cult, quelli di Nanni Moretti ma anche, non a caso, ‘La profezia dell’Armadillo’ dove Adriano Panatta spiegava il magico “pof pof” che nasce dell’incontro tra racchetta e palla.
La genesi di “Una squadra” la prima docuserie del produttore, che scritta con Lucio Biancatelli e Sandro Veronesi è stata presentata al 39° Torino Film Festival e a maggio sarà su Sky è così spiegata. Nel momento in cui il tennis italiano ha finalmente trovato altri giovani moschettieri a cui affidarsi, in scena proprio a Torino nella versione rinnovata (e privata del suo antico fascino) della Coppa Davis, il produttore-tennista-neoregista con filmati d’epoca  e interviste che sembrano sedute psicanalitiche e che mettono in luce le differenze caratteriali e i rapporti complicati e conflittuali, racconta la squadra che nel ’76 vinse l’insalatiera nell’ormai mitologica finale in Cile.
Attraverso le testimonianze incrociate di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli e capitan Nicola Pietrangeli i sei episodi raccontano la storia della nazionale italiana di tennis che ha vinto la Coppa Davis nel ’76 e che negli anni successivi ha raggiunto la finale altre tre volte. 
Un gruppo eterogeneo, composto da personalità fortissime, con rapporti a volte molto conflittuali, ma, in quegli anni, la squadra più forte del mondo. Gli anni affrontati dalla serie vanno dal 1976 al 1980, quando il dream team raggiunse la finale quattro volte, vincendo solo nel ‘76 contro il Cile, in un incontro attorno al quale si si creò un vero e proprio caso politico, con enormi polemiche sull’opportunità di andare a giocare con i colori dell’Italia nel Cile del dittatore Pinochet e la celeberrima maglietta rossa sfoggiata provocatoriamente dagli azzurri in campo, un’idea di Panatta (“mi fece una testa così, ha appena rievocato Bertolucci, per farlo star zitto sarei sceso  campo anche in mutande”). 
Nelle prime due edizioni, ‘76 e ‘77, la squadra ha avuto come capitano non giocatore la leggenda del tennis italiano, Nicola Pietrangeli, poi clamorosamente esonerato dalla  stessa squadra dopo la sconfitta del ‘77 in Australia. È lui il decisivo quinto protagonista della docuserie, nata così: “Procacci, profondo conoscitore di tennis e anche grande amico di Panatta mi ha contattato un anno fa, dopo aver letto il libro ‘1976, Storia di un trionfo’ che avevo scritto con Alessandro Nizegorodcew – racconta all’AGI il co-autore Lucio Biancatelli – da lì è iniziato un grande lavoro di ricerca,  su giornali, sul materiale radiofonico ma anche, per quel che riguardava le questioni politiche della contrastata finale nel Cile di Pinochet, nell’archivio di Giulio Andreotti e in quello della Farnesina”. 
Poi sono cominciate le interviste ai protagonisti: “Più che interviste  sono state degli interrogatori, tutti e cinque sono stati messi sotto torchio per due giorni ciascuno”, chiarisce. Ne esce un racconto che scava nella psicologia dei protagonisti e nei rapporti mai facili tra di loro. I ricordi e le ammissioni di colpa di Panatta,  leader del gruppo (“Diciamolo, potevo battere chiunque, ma ero insopportabile”) si incrociano a quelle del compagno di squadra caratterialmente antagonista Barazzutti  (“non è necessario essere visibile a tutti i costi…”) a quelli di Bertolucci, protagonista del mitico doppio con Panatta (“Eravamo una squadra di fenomeni e io e Adriano sempre insieme, facevamo una vita da marito e moglie”)  e a quelli di Zugarelli che ammette la sua irascibilità dell’epoca. 
Mentre Pietrangeli svela che i quattro a volte neanche si parlavano, divisi anche nello spogliatoio, Panatta e Bertolucci da una parte, gli altri due dall’altra. E lui, il capitano esonerato dalla stessa squadra dopo la sconfitta del ’77 in Australia? “Nicola trattava con i principi, con i re”, scherza e neanche troppo Barazzutti, rievocando la predilizione per la coppia Panatta -Bertolucci. Questioni di punti di vista. Panatta sottolinea che “Nicola era Nicola… non ha avuto mai una parola gentile nei nostri confronti”.
Uno degli aspetti divertenti della serie, sottolinea Biancatelli, sta nella differenza delle versioni tra i cinque. “Pietrangeli ci ha raccontato che un po’ di tempo dopo la sua cacciata, vissuta come un tradimento, Panatta gli chiese perdono mettendosi anche a piangere. Episodio che Adriano invece nega”. Perché i cinque erano diversi e hanno anche ricordi personalizzati. Ma vincevano, nonostante tutto. La frase chiave che spiega come quattro tennisti con un’alchimia così sgangherata ce l’abbiano fatta la pronuncia proprio Panatta: “C’era una stima anche come persone, perché al di là delle differenze caratteriali noi eravamo una squadra”.

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